EORONIO/ FORONIO di Sedilo. Un grido tragico e un 'nome' grottesco per un ladrone 'illustre'?
di Gigi Sanna
Recentemente Aba Losi ha pubblicato un articolo riguardante alcuni cippi funerari sardi assai difficili da inquadrare culturalmente e temporalmente e ancora, dal punto di vista del contenuto epigrafico, di controversa interpretazione. Uno di essi è quello noto di Sedilo che reca (o sembrerebbe recare) il nome di un defunto o di un dio chiamato Foronto (1).
La lastra fu trovata dal prof. Natale (noto Natalino) Sanna (2) nel 1955 che nella rivista Frontiera del mese di luglio del 1968 (quindi 13 anni dopo) la pubblicò con un non breve commento nel quale, oltre al fornire tutte le informazioni riguardanti il rinvenimento del manufatto (sito e data della scoperta (3), contesto archeologico, forma e misure, successiva sua sparizione e probabile distruzione), si sofferma sul dato epigrafico parlando dell'interesse del reperto per la 'faccina' in altorilievo e, soprattutto, per la scritta insistente sulla parte mediana di esso.
Il professore sedilese da buon epigrafista e onesto professionista avverte subito che la sua prima trascrizione (sulla quale contava - come dice - di ritornare) è affidabile sino ad un certo punto e che le foto (da lui scattate subito dopo il rinvenimento) non aiutano più di tanto a rendere il testo perfettamente leggibile: “Anche se le fotografie possono aiutarci, bisogna tener conto della scabrosità della pietra, per cui una linea potrebbe essere un casuale effetto d'ombra, anziché un segno intenzionale dello scalpellino, mentre, per contro, una illuminata dai raggi del sole che la colpiscano nel senso della lunghezza può quasi scomparire'. La penultima lettera, che in qualche fotografia sembra una T, in un'altra che è stata staccata a distanza più ravvicinata, può apparire come una I. Anche la prima lettera è, dalle fotografie, poco chiara. Potrebbe essere una E , potrebbe essere una F con l'apice basso curvato, potrebbe essere C o una G” (4).
Insomma dall' analisi epigrafica, continua Natale Sanna, dati i dubbi esistenti solo sul primo e sul penultimo segno, possono risultare queste soluzioni:
FORONTO/FORONIO
EORONTO/EORONIO
CORONTO/CORONIO
GORONTO/ GORONIO
E' da questa precisa (e direi esaustiva) analisi epigrafica che dobbiamo partire anche noi, dicendo subito che la sua soluzione circa l'esistenza di un GORONIUS 'nume tutelare della tribù' non ci trova consenzienti non solo per alcuni motivi di carattere grammaticale e fonetico- linguistico (con insorgenza di difficoltà ammesse anche dal proponente) ma soprattutto per il fatto che mai, né allora né oggi, è stato trovato il nome di un dio tutelare di Borore/Gorore a nomeGoronius (5).
Evidentemente la soluzione va trovata altrimenti, ma pur sempre sulla base epigrafica proposta dallo studioso la quale, una volta eliminati il CORONTO/CORONIO e il GORONTO/GORONIO, offre FORONTO/FORONIO e EORONTO/ EORONIO.
Ora, come è da escludere un (per altro assai faticoso) GORONTO/GORONIUS inesistente così è da escludere il nome di una divinità di nome FORONTO (ipotizzata da alcuni) ugualmente mai attestata in nessun luogo, né in Sardegna né altrove.
Per detta esclusione rimangono dunque i dati epigrafici di FORONIO/ EORONTO/ EORONIO, dati che subito possono ridursi solo a due in quanto EORONTO non risulta essere un nome e tanto meno un verbo nonostante un' uscita finale possibile (- nto) .
Che significato dunque può avere una scritta così 'lapidaria', FORONIO/EORONIO, di concisione epigrafica tale che si riduce ad appena sette lettere? La logica porta a prendere in considerazione due sole possibilità: o il cippo funerario reca un'espressione molto breve oppure un nome di persona, cioè il nome stesso del defunto. Quest'ultima ipotesi sembrerebbe la più percorribile proprio per la brevità del testo. Ma FORONIO oppure EORONIO non sembrano, sulle prime almeno, suggerire significato alcuno, così come tutte le altre precedenti ipotesi epigrafiche. Non esiste un nome di persona FORONIO o EORONIO.
Resta a questo punto solo un'ipotesi, quella del rebus, cioè potrebbe essere che lo scriba lapicida abbia giocato con i segni (6) onde rendere la sequenza consonantico - vocalica volutamente enigmatica, oscura e, parzialmente o totalmente, non comprensibile ai più. E che ciò abbia fatto sulla base di quelle (ed altre, come vedremo) ambiguità che tutti, già a partire dal prof. Natale Sanna, notiamo ma senza chiederci a fondo del perché. Come se quelle fossero solo semplici ambiguità obiettive epigrafiche e non ambiguità soggettive e prodotte a bella posta dallo scriba,
Se osserviamo la scrittura riscontriamo subito una notevole sicurezza nel riporto delle singole lettere. Tutti i segni, che possono paleograficamente essere interpretati indifferentemente come romani o greci, sono riportati perfettamente, con l'eccezione del primo, per il quale l'indecisione e l'approssimazione grafica risultano notevoli e del penultimo che però, stando alle avvertenze di chi per primo trascrisse il testo, potrebbe essere composto da una semplice vocale e cioè una 'I' e non da una T, con il tratto superiore orizzontale staccato da quello verticale come segno apparente, non pertinente e forse non esistente. Insomma, stiamo cercando di indagare se la soluzione della oscura sequenza fonetica possa trovarsi in quella iniziale ambiguità e/o in qualche altra ambiguità insita negli altri segni.
Procediamo dunque osservando la serie consonantico -vocalica con la prima soluzione, ovvero quella di FORONIUS, tenendo presente l'ipotesi che il segno iniziale sia una 'F'. Credo che non possa sfuggire a nessun linguista che la radice della parola è composta da FUR/FOR, varianti che sono, rispettivamente, quella latina di FUR,FURIS e quella greca di φώρ, φωρός. Ma non solo. Non può sfuggire neppure che anche in lingua sarda abbiamo la stessa radice FUR, ma con il particolare non trascurabile che essa si manifesta più completa in quanto porta anche lo stesso suffisso presente nella lapide e cioè -ONI : FURONI.
Ma, si obietterà subito, FURONI non è FORONI e FURONI non è FORONIO. Abbiamo la difficoltà di una vocale diversa nel primo caso e di un' aggiunta vocalica nel secondo. Certamente. Ma è qui che, a mio parere, si manifesta la fantasia e la bravura maliziosa dello scriba: perché non certo a caso ma per un motivo ben preciso ha reso ambigua la prima lettera (E/F), grecizzando (FOR al posto di FUR) e latinizzando (dativo in -o per la dedica: lastraper) il nome (il nomignolo) di FURONI.
Ciò però si capisce ancora meglio se uno non si fa ingannare dalla 'scriptio continua' e riesce a leggere in greco la sequenza EORONIO (con il primo segno non più con valore di 'F' ma di 'E'), la quale va scissa in EORON IO (ΕŌΡŌΝ ΙΟ: ἐώρων ἰώ) che in greco significa ' potessi io vedere (la luce), ahimè' (7).
E' appena il caso di dire che nella lingua greca il verbo ' ΟΡΑΩ' sottintende facilmente il 'ΦΑΟΣ' e cioè la luce del sole (NUR in semitico nuragico). Verbo che in questo senso, com'è noto, è già da tantissimo tempo omerico (8). Mentre IŌ/IΩ è voce assai frequente nel linguaggio tragico per notare il grido di dolore (9) e usata nelle lapidi mortuarie (sino al IV -III secolo a.C.) forse per imitazione della lamentazione funebre (10).
Se le cose stanno così, come ritengo che stiano, si capisce perfettamente il significato singolare, quasi impensabile, di scherno impietoso che assume il documento funerario dell'anonimo FURONI del cippo di Sedilo.Foronio non è altro che il nome 'volgare' del ladro (tragicamente) 'illustre' grecizzato e romanizzato, quello che tutti gli alfabetizzati potevano facilmente comprendere anche se lievemente alterato. E' come se il nostro 'ladrone' - un noto ladrone ovviamente – venisse per scherno e disprezzo pubblico additato in una lastra funeraria con un 'epico' e nobile 'ladronius'.
Il risultato della grecizzazione FUR > FOR offre allo scriba lapicida lo spunto per dare il nome grottesco al particolare defunto. Ma non solo. Offre la possibilità della resa di una doppia lettura (lettura a rebus), con l'inserimento di una espressione di dolore nascosta, con un epifonema tipico dei testi funerari (11); lettura stavolta non accessibile, ovviamente, se non a coloro che conoscevano la lingua greca. Infatti, il grido (IŌ) di dolore di FURONI/EORONIO, con l'imperfetto (EŌPŌN) tipico del desiderio irrealizzabile nel presente, non è certo un tocco di umanità o un grido di 'pietas' posto nella lapide da parte dello scriba e (sicuramente) sacerdote. E' invece il grido della disperazione del defunto, messo nella bocca di chi ora sa bene, per le sue malefatte, che la luce mai potrà (ri)vedere. Dalla tomba, prigione definitiva con buio eterno (sembra essere anche questa l'allusione sottile della scritta), un 'furoni' (12) non può che emettere quel terribile tragico grido.
Forse, dato il particolarissimo tenore della lastra funeraria sarda, sarà bene chiudere ricordando con quale estrema severità la Carta de Logu, il famoso codice sardo di leggi penali e civili con ispirazione indigena, talora remotissima, tratta in un capitolo apposito (13) dei 'ladri' ovvero, in lingua sarda cosiddetta 'arborense', dei 'furonis'. Di Sedilo, di Abbasanta, di Aristanis o di altri luoghi che fossero del Logu (o del Regno giudicale che dir si voglia).
Note esplicative e riferimenti bibliografici
1) V. Frau B., Che fine ha fatto Foronto?, in Logos, 2004,X 8,15 -19; Stiglitz A., Un'isola meticcia: le molte identità della Sardegna antica. Geografia di una frontiera. Bollettino di Archelogia on line I 2010. Volume speciale, A/A3/3.
2) Nativo di Sedilo (1918 - 1999) il prof. Natale Sanna è stato un ottimo docente ed un illustre studioso. Laureatosi in lettere all'Università di Cagliari nel 1941, ha insegnato per un certo tempo nel Liceo Ginnasio 'De Castro' di Oristano, per poi passare al Liceo 'Dettori' di Cagliari ed infine all'Istituto magistrale 'Eleonora d'Arborea' della stessa città. Si è sempre occupato di storia della Sardegna. Ha pubblicato nel 1964 la prima edizione di Il cammino dei Sardi (Fossataro). E' autore della parte riguardante "La Sardegna contemporanea (dal 1870 al 1924)" in AA.VV. Breve storia di Sardegna edita dall'ERI nel 1965 e di "La Sardegna dal 1870 alla prima guerra mondiale" in AA.VV. La Società in Sardegna nei secoli", ed. ERI 1967. Ha pubblicato nel 1986 la seconda edizione di 'Il cammino dei Sardi. Storia, economia, letteratura ed arte di Sardegna, (ed. Sardegna), un'opera in tre volumi che, sostituendo il vecchio testo storico 'Storia di Sardegna' di R.Carta Raspi, si è fatta apprezzare e si fa apprezzare ancora oggi per la chiarezza e soprattutto per qualità di precisione e di sintesi.
3) Per la data precisa, con la modifica di essa rispetto a quella fornita dal Sanna, si veda il bell'articolo di Frau B., Che fine ha fatto Foronto?, cit. pp. 16 -18.
4) Frau B., cit. pp. 15 -16.
5) Frau B., cit. p. 16.
6) Il lusus del rebus, più o meno accentuato, è abbastanza frequente e documentato nelle lapidi mortuarie della classicità. Si veda, per il greco tardo (quello che qui interessa) l'epigrafista M. Guarducci, la quale si sofferma, in particolare, sull'uso dell'acrostico ('amore per l'artificio e per l'arcano', spiega la studiosa ) al fine di non rendere subito visibile ed afferrabile il nome del defunto ( M. Guarducci, L'epigrafia greca dalle origini al tardo impero, Libreria dello Stato. Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 2005, Epigrafi sepolcrali, p. 388). Per la documentazione in Sardegna si veda in proposito il noto documento lapideo con scrittura in mix (sardo - latino e greco-etrusco), sempre di carattere funerario, di Giorre Utu Urridu, rinvenuto in agro di Allai (S'isca de su nurachi) nel 1984 dal rag. Armando Saba, funzionario della RAS e pubblicato dal prof. M. Pittau dieci anni dopo con un commento critico.
Sull'argomento v. Sanna G., http://gianfrancopintore.net/index.php?option=com_content&view=article&id=418:scrittura-nuragica-gli-etruschi-allievi-dei-sardi-i&catid=3:archeologia&Itemid=37 nonché il successivo http://www. gianfrancopintore.net/index.php?option=com_content&view=article&id=419:scrittura-nuragica-gli-etruschi-allievi-dei-sardi ii&catid=3:archeologia&Itemid=37).
7) Forse sarà bene rammentare circa l' EOPON/EŌPŌN e l'IO/ IŌ che il greco per un lungo periodo, in età arcaica e classica e forse anche recente, IV/III secolo a.C. (Guarducci M., 2005, cit. ) adoperò il segno dell' omicron (O) per notare sia la vocale breve sia la lunga.
8) Iliade, XXIV, vv. 557 -558: ...ἐπεί με πρῶτον ἔασας /αὐτόν τε ζώειν καὶ ὁρᾶν φάος ἡελίοιο (è Priamo che parla rivolgendosi ad Achille: poiché tu primieramente hai permesso/ che io vivessi e potessi vedere la luce del sole).
9) IW DUSTANOS , Sofocle, Ant. 850; IW MAKARES, Eschilo, Theb. 96; IH IH IW IW DAIMONES. Esch. Pers. 1003; ecc.
10) Guarducci M., L'epigrafia greca, ecc. cit. p. 387, nota 1.
11) V. nota precedente.
12) Si tenga presente che 'furoni' oggi, in variante dialettale sedilese, è 'furone'. Ma il lapicida è costretto per il crudele lusus letterario (l'uscita in - ius) ad optare per la prima forma forse già da allora 'campidanese'; forma comunque adoperata molto più tardi, in epoca basso medioevale, nella 'koiné' della legislazione arborense della Carta de Logu (v. nota successiva)
13) CdL, 18, Pro su furoni.