venerdì 19 novembre 2010

Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale

Chiara Tinnirello - Università degli Studi di Catania

Il teatro del concetto
di Chiara Tinnirello
Collana: Milleporte
Pagine: 108
Anno: 2009
Prezzo: 12,00 euro
ISBN-13: 978-88-7728-202-6

"Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale" di Chiara Tinnirello.1

È possibile oggi una (ri)lettura di Nietzsche che non sia una mera riproposizione di ermeneutiche già abusate? Forse sì, e forse è quanto tenta in questo pregevole saggio Chiara Tinnirello. La sua esegesi di Apollo e Dioniso come “concetti”, ossia nomi propri che scavalcano la loro stessa simbologia mitica per accasarsi nel calderone delle figure che trascendono il mero simbolismo per “significare” qualcosa, è esplicitamente desunta da Deleuze. La “singolarità preindividuale e impersonale” permette di partire dall’estetica nicciana senza fermarvisi, è la miccia che innesca un intero processo di quello che la Tinnirello definisce “dispositivo figurale” che consente – niente meno – di uniformare concettualmente l’intera opera di Nietzsche, forse la più rapsodica dell’Ottocento. Dioniso, dunque, come Apollo, è una divinità, ma è anche una figura, ma è anche una metafora, ma è anche e soprattutto un concetto. Solo con questa consapevolezza si può veramente comprendere il nesso che lega tutta l’opera di Nietzsche.

Introduzione

Chiara Tinnirello2

Il filosofo francese Gilles Deleuze ha parlato di Singolarità preindividuali e impersonali. Il pensatore, restando negli argini dell’idea di Singolarità, ha definito nomi propri le concrezioni filosofiche, apparentemente biografiche, di Nietzsche. Il nome proprio, inteso da Deleuze, sarebbe lo stile stesso di Nietzsche che dispone intensità, anziché astrazioni, sul nastro del pensiero che è come un registro, un supporto-corpo su cui iscrivere la propria singolarità messa in mostra, operata dallo stile. Muovendo dall’idea di Deleuze, l’intera filosofia di Nietzsche appare sotto una nuova luce, eccezionalmente univoca. La Nascita della Tragedia esibisce i nomi propri di Apollo e Dioniso; questi generano uno stile singolare, sono dispositivi di pensiero. L’apparato mitico della Geburt si avvale del concerto di questi nomi propri. Con tutto ciò, Apollo e Dioniso, sono due divinità pagane. Il politeismo, per natura molteplice, monta in figure i suoi pensieri, ogni concetto ha il suo Dio: gli Dei sono concetti. Allora Apollo e Dioniso cosa sono?

Le divinità della tragedia sono costellazioni di una nuova genealogia dei concetti. Genealogico intende essere un pensiero che arriva alla sua origine per negarla, smascherando il suo autore, il Chi sta all’origine. Apollo e Dioniso potrebbero essere i dispositivi genealogici dello stile-pensiero di Nietzsche; questo, come si è detto, affida a nomi propri, a figure, l’esecuzione del pensiero. Tale pensiero montato in figure diviene una costruzione artista. La filosofia tragica, inscenata da Apollo e Dioniso, sosta nel dramma, movimentando il concetto attraverso esposizioni Singolari, Tipiche.

Zarathustra è una figura, il portavoce dell’avvento del Superuomo (figura anch’esso). Se il pensiero nicciano si avvale di singolarità stilistiche (persino l’aforisma fende il concetto in disposizioni tipizzate, univoche) allora Nietzsche ha ideato una nuova genealogia post/pre antropologica della filosofia: il pensiero delle singolarità diviene l’avvento di una soggettività de-soggettivata, spodestata della sua individualità e messa in grado di diventare evento, fenomeno. La partitura mitica del pensiero di Nietzsche attesterebbe questo sfondamento nel

tragico, il ritorno della tragedia. Il Tragico, in qualità di ‘dramma’, attorializzato da Apollo, Dioniso, Zarathustra sfoggia la Ripetizione delle Singolarità, il ritorno degli Dei. Le molteplicità divine sono i concetti del pensiero di Nietzsche, per il loro tramite la filosofia perde il suo statuto monologico (monoteistico e soggettivistico) ‘classico’ e inaugura un creazione politeista dei concetti.

La genesi ontologica del dispositivo figurale nicciano è la Potenza. Il vocabolario filosofico ci consegna un impensato, il concetto di Potenza che Nietzsche ha attivato come Volontà-di-potenza. La Potenza ha una lunga storia. Si origina nella Metafisica di Aristotele, passa alla teologia cristiana, ritorna in Spinoza, termina nel pensiero di Nietzsche, suggerendo una genesi, alternativa al potere, del soggetto e del suo pro-getto di mondo. La Potenza rimanda al vocabolario dell’Essere, suggerisce la manenza irrelata, eppure mobile, dell’Essere che sgrana se stesso, esteriorizzando la sua energheìa senza alcuna conformità con il piano di forze antitetiche che il potere, con il suo gioco di alterità/ identità, deve istruire per esistere: la Potenza è diversa dal Potere, invoca l’arte. L’opera d’arte sussiste in se stessa eppure gode di uno sguardo esterno, è pura esteriorità e produzione; la Potenza è lo stesso, si produce fuori, si potenzia (L’anima è la forma del corpo, dichiara Aristotele). La figura allora che pone in mostra il concetto, lo espone fuori, è figlia della Potenza, è Arte.

La Volontà-di-potenza nicciana è un paradosso del pensiero. Una volontà che vuole la Potenza è impensabile, il volere comunica un potere, una possibilità. Viceversa la Potenza non può volere, è già. Volontà-di-potenza potrebbe allora esibire il paradosso del Volere che si rimette alla Potenza, il gioco pericoloso di una Volontà che si restituisce alla necessità: scatta il mito dell’eterno ritorno. Riappare solo l’effetto della Potenza, il movimento che è pura esposizione esteriore, necessità di produzione, arte, Figura.

Le ‘figure del pensiero’, infine, sussistendo senza Volontà, prospettano il nuovo stile del mondo inaugurato dalla Tecnica, deriva della storia, e dei soggetti che l’hanno ideata. La Tecnica avvia la modernità attraverso lo spaesamento ontologico delle sue invenzioni, dei mostri robotici, delle protesi, delle possibilità im-possibili dell’ingegneria genetica. I Soggetti perdono la loro capacità di azione, non possono più concepirsi secondo i dettami della logica ‘classica’, per questa ragione tornano a farsi stadi, segmenti della necessità che non si piega

ad alcuna legge, diventano tragici.

Il Ritorno della tragedia avvia la modernità che non si lascia conoscere, che rifugge la logica progettuale del soggetto padronale e si schiude alle polivalenze del mito e delle sue divinità amorali: ritornano gli Dei, le molteplicità anomiche dell’ignoto, lo spossessamento dell’attore tragico che si trova a fare senza sapere, immerso nel monstruum del reale.

Apollo, Dioniso e Zarathustra, così come L’Anarca di Ernst Jünger e Diogene il Kinico di Peter Sloterdijk, sono stili del dramma del pensiero, figure dell’altra faccia del reale, l’arte, l’artificio. Con il tramite di queste figure, il pensiero ri-pensa il mondo, configurando un’altra pista dei concetti per la fine dei soggetti, la via della potenza, delle Singolarità.


1 Prefazione A. Ferrero, postfazione D. Miccione, Nota in Poesia di P. Ristagno, copertina G. Caviezel, A e B, Acireale Roma 2009, Collana Milleporte (direttore A. Di Giovanni).

2 Chiara Tinnirello, Università degli Studi di Catania

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