domenica 20 settembre 2009

PERCHÉ ATLANTIDE È REALTÀ, NON FANTASIA

Un'analisi testuale classicistica della descrizione platonica.
il parere di Enrico Turolla
Nell’immediato dopoguerra (1947) la Casa Editrice Garzanti di Milano, nella sua serie "Classici Greci", propose ai lettori italiani il volume "L’ATLANTIDE di Platone: letture scelte dal Timeo e dal Crizia" interpretate e commentate a cura dell’autorevole classicista italiano Enrico Turolla. In tal modo, dopo gli sconvolgimenti della Seconda Guerra Mondiale, la questione del continente sommerso veniva autorevolmente rilanciata in Italia in libreria riproponendo le sue fonti tradizionali. Di tale testo antologico ragionato dei testi platonici relativi al mitico continente-isola primevo sottoponiamo qui ai lettori la prefazione firmata dal suddetto curatore del volume, specchio di una convinzione, quella di non pochi autori italiani dell’epoca, che non ha perso minimamente la propria validità.

La serie dei dialoghi platonici si svolge dagli anni primi della vita del Maestro ininterrotta sino agli anni postremi della gloriosa esistenza. "Scribens", si potrebbe ripetere anche pel Maestro ateniese, "Plato mortuus est". E la conclusione di questa sublime sequenza di opere è, ci si conceda il termine, "bicipite".
Spieghiamo.
Bicipite, con due capi cioè. E questi ; due capi sono rappresentati dal gruppo "Leggi Epinomis" da una parte; dal gruppo "Timeo", "Crizia", "Ermocrate", dall’altra. E intendiamo che a noi sarebbe lecito porre la parola fine sia dopo l’una che dopo l’altra serie di opere, mediate, l’una e l’altra, da un’unica istanza speculativa: la progressiva penetrazione del bene nel regno del divenire; penetrazione che avviene nel mondo istorico e di cui Platone attende l’attuazione e si fa di essa aiutatore e cooperatore. Ecco, lo sforzo eroico di dare una costituzione per la Città attesa. Tutto ciò perseguono i dodici libri del grande dialogo e la breve "Appendice alle Leggi o Deuteronomio", come si può interpretare la parola greca "Epinomis". Invece la penetrazione del bene nel mondo naturale è delineata nel Timeo e nel mondo della istoria pure (Crizia) ma non più in un’attesa futura, bensì nella istoria pristina dell’umanità, remota così, che ogni traccia di quell’organizzazione ora è cancellata.
I due gruppi inoltre presentano ancora caratteri comuni di non completa consumazione formale, ché nelle "Leggi", è notizia giuntaci dai tempi antichi, l’opera finale di revisione non è stata compiuta; nel "Timeo" e nel "Crizia", l’opera di revisione è perfetta indubbiamente ma il "Crizia" è interrotto e l’"Ermocrate", che doveva consumare la trilogia atlantica, non è mai stato scritto. Onde la trilogia si chiama anche opportunamente "trilogia incompiuta".
Lasciamo ora da parte il capo delle "Leggi" e della sua appendice, cronologicamente con piena probabilità posteriore all’altro. Nella "trilogia incompiuta", dunque, oltre a delineare il momento demiurgico della Creazione, Platone, quasi fin dalle prime parole del "Timeo", anteponendo insomma e anticipando, per evidenti ragioni costruttive, inserisce un accenno abbastanza diffuso a quello che sarà l’argomento del secondo dialogo, la descrizione cioè della Città giusta quale era stata all’origine dei tempi; inserisce, più esattamente, l’indicazione delle fonti che gli hanno concesso di figgere lo sguardo in un’antichità così remota. Indicate le fonti l’argomento devia e si rivolge a perseguire la Creazione, cioè l'episodio primo di questo sublime dramma. Il "Crizia" poi, episodio secondo, ci introduce definitivamente nel regno della istoria umana. E ciò che Platone ci narra, adoperando la sua terminologia, è mito, è racconto; non è dialettica, indagine, non esplorazione nel regno ulteriore dell’invisibile essere, come del resto nemmeno era dialettica l’indagine delle "Leggi" e della sua "Appendice". Platone interrompe insomma il suo parlare non in regno di dialettica, bensì in regno mitico. Tale è appunto nella sua totalità il "Crizia".
Terminare con un mito vuol dire, terminare nel mistero. E "mistero" pare a noi parola suscettiva d’interpretare e spiegare vera mente cosa sia il mito platonico. Racconto certamente; non tuttavia racconto di comuni eventi. Sono miti per esempio taluni racconti che perseguono eventi della storia ulteriore, la storia cioè dell’uomo dopo la morte; ci sono miti per la storia anteriore, la storia dell’uomo prima della nascita. Comune, negli uni e negli altri, l’accento di rinuncia ad un’affermazione di scienza e l’adozione d’una conclusione probabile. Scienza, sempre, non nel senso avvilito moderno (scienza naturale in tutte le sue sfumature: fisica, chimica, astronomia ecc.) ma nel senso eroico eleatico-platonico-aristotelico. Scienza dell’essere; scienza a priori, scienza del necessario; scienza metafisica. Non dunque conclusioni certe in questi miti, che rivolgendosi essi alla vita, sia pure in condizioni diverse dalla vita corporea, vengono pur sempre ad indagare le cause seconde delle quali esiste soltanto una scienza relativa; annubilata, probabile insomma. Tuttavia, mentre per l’indagine naturalistica del "Timeo" può soccorrere il metodo deduttivo, onde il "Timeo" è pur sempre un’indagine a carattere scientifico; più esattamente doxastico; questo aiuto viene in conclusione a mancare, quando s’avanzano i problemi dell’al di là.
Sara muto allora il nostro dire? Sarà cieca la visione?
No, certo, per Platone erede della dottrina tradizionale e simbolica di Pitagora. Qui è uno degli accenti più squisitamente originali e profondi della speculazione platonica. Ma di questo aspetto del mito-mistero non è qui il luogo di trattare. Qui intendiamo pervenire al mito-mistero del "Timeo" e del "Crizia"; questo mito ha carattere particolare sul quale e necessario far luce.
Mito-mistero quello della trilogia incompiuta, e tale, vorremmo dire, per ragioni estrinseche. La sede ove esso va ragionando non è posta al di là della vita e al di là della storia; l’argomento suo è nella storia stessa.
Soltanto i secoli, in rapporto alla comune durata di vita mortale, innumeri sono trascorsi e separano il nostro oggi da quelle remotissime età. In mezzo, fra noi e gli uomini che come per miracoloso gioco di luci vengono rievocati nella pagina del Maestro, vi è il silenzio di cose inesorabilmente cancellate, cose fatte nulla in oblio. Ebbene, oltre il compatto muro; oltre il grande deserto dei novanta secoli (tanti erano ai tempi di Platone; ora si tratta di cento secoli e dieci) dei quali per la massima parte più nulla sappiamo; ebbene, oltre, e quasi dal principio dell’umana istoria, giungono a noi voci, nomi, un sonito di gesta, un fragore di armi.
Come per nuova televisione, vediamo ancora profili di monti, selve, canali; palazzi, templi, castelli; e la forma d’isole e la forma d’un continente. Di tutto ciò nulla vi è più; il mare ha invaso; il mare ha distrutto; il diluvio ha annientato. Ma noi sappiamo di quelle isole il nome; anche dei re antichi sappiamo il nome. Quelle isole costituivano l’Atlantide e la famiglia dei re n’era sovrana. Questo è il mito dell’Atlantide, il racconto della Atlantide diremo noi traducendo alla lettera e sacrificando lo spirito; il mistero dell’Atlantide diremo con altra parola che rievoca in noi ciò che Platone voleva significare con la sua parola nella sua lingua.
È vero ciò che Platone narra? Questa, la domanda di chiunque s’avvicina al racconto Atlantico. È vero?
È fantasia? Platone s’allontana da noi per il transito supremo e non si cura d’aggiungere nulla, anzi il suo racconto resta per sempre spezzato: "Si raccolse dunque Zeus e prese la parola…". Cosi termina il "Crizia". E quale sia stata questa parola non sapremo mai. È vero? È fantasia? insiste la domanda inquieta.
Ed è appunto questo proporsi d’un interesse vivo, d’una viva partecipazione dello spirito nostro; d’una, diciamo la parola che piace a Platone, fascinazione o incantamento; è appunto tutto ciò che Platone con sapiente gioco di prospettive ha saputo creare; ciò il Maestro voleva. E in ciò è l’essenza stessa del mistero.
Certo, chi arriva alla "trilogia incompiuta", dopo aver percorso l’intero cammino dei dialoghi, costui. vede che a ben altre affermazioni, a ben altre potenti conclusioni Platone ha abituato l’anima sua. Ma costui vede anche che, se quelle potenti sono in pieno fulgore, qui, nel mito Atlantico, parola disputante (Platone dice "logos") si atteggia in penombre, qui si accentua la voce della probabilità ove prima era la certezza: l’essenza del mistero appunto con tutte le sue caratteristiche. Tutto ciò che noi possiamo chiedere, tutto ciò che possiamo trovare è un convergere di piani, un accennare di linee, una direzione insomma; ma la certezza, forse mai. È vero? È fantasia? Le stesse indagini recenti portano ad un grado assai elevato, quasi definitivo, gli elementi della certezza. La prova tuttavia, come dicono, palmare; il "non credo se non metto le mani"; la prova sperimentale non c’è, e forse non sarà mai. È stato tuttavia detto dal Maestro vero, un altro maestri di cui Platone può dirsi certamente figura; "beati qui non viderunt, et crediderunt".
E ciò, a proposito d’una vicenda in cui parimenti si desideravano prove evidenti, si desiderava di toccar con mano, si cercavano tutti quei ripari e tutte quelle precauzioni con cui intendono munirsi quelli che si chiamano comunemente spiriti forti, spiriti positivi; gli spiriti delle ragioni solide. "Beati qui non viderunt et crediderunt".
È vero? È fantasia? È indubitabile in ogni caso l’apporto d’una sintesi; indubitabile l’apporto di particolari singoli che Platone ha liberamente aggiunto. Chi legge con attenzione e questa lettura più d’una volta ripete, finisce per accorgersi dell’esistenza di due nuclei differenti per natura. Vi è un nucleo che ha un aspetto descrittivo, quasi un testo di geografia che riferisce caratteristiche singole d’una determinata regione. Buona parte del "Crizia" appartiene a questo nucleo e ad esso appartengono anche le pagine del "Timeo". Che danno indicazioni precise circa la fonte e anticipano poi le prime notizie sull’isola o sul sistema di isole che formavano l’Atlantide, con una esattezza e con una precisione di termini tale che soltanto ai nostri giorni, dopo la scoperta dell’America, può esser convenientemente apprezzata. Certissimamente nessuno dei contemporanei di Platone (vorremmo dire: nemmeno Platone stesso che scriveva quelle parole), nessuno dei posteri Platone per molti secoli ha potuto apprezzare.
"In quei tempi lontani era possibile valicare quell’immenso mare (l’Atlantico) perché in esso era un’isola; e quest’isola innanzi stava a quel stretta foce che ha nome, come voi dite, Colonne d’Ercole. Ed era, quest’isola, più grande insieme della Libia e dell’Asia.
E chi procedeva da quella, si apriva il passaggio ad altre isole, da queste isole ad un 'grande continente' opposto, intorno a quel che veramente è mare. Le parti invece interne alla foce (il Mediterraneo) di cui parliamo, appaiono essere quasi un porto di cui sia stretta e angusta la via d’ingresso. Oh! ma quello sterminato mare a veramente mare, e la terra che lo ricinge, con tutta verità si potrà dir continente (1)".
Com’è facile accorgersi, ("il grande continente opposto") e l’America e ("quello che veramente a mare") e la parte restante dell’Atlantico dopo le isole Atlantidi vicine più all’Europa che all’America. E a parer nostro basterebbero queste poche righe per eliminare ogni possibilità di discussione. Qui non si tratta di fantasia; d’altra parte nessuno ai tempi di Platone poteva sapere ciò che qui e detto. Ma chi ha detto ciò a Platone? Ma lasciamo stare. Questo nucleo descrittivo-geografico forniva dunque a Platone un assieme non omogeneo di notizie; un seguito di dati interessanti che tuttavia, per essere introdotti nel dialogo, dovevano esser sottoposti ad unificazione. Osserviamo di passaggio, che scopo avrebbero, se puro gioco di fantasia, taluni particolari cosi precisi? I canali concentrici (2), il sistema di canalizzazione, il rito del sangue? Altri particolari minuti, inutili al tutto se non corrispondenti a verità? La scrittura presenta insomma. evidente questo nucleo descrittivo al quale si aggiunge (e qui e l’apporto personale di Platone) l’altro nucleo a carattere narrativo.
Una vicenda storica, nella quale si trovò impegnato quell’impero di cui vengono descritte le caratteristiche geografiche e politiche. Platone ha cercato di far diventare narrazione storica, quella che era descrizione geografica. E i dati della descrizione evidentemente gli erano forniti; a renderne possibile l’introduzione nel dialogo, Platone ha cercato d’accostare il motivo d’una narrazione storica: ecco il motivo della guerra degli Atlanti e della grandezza di un’Atene preistorica.
È avvenuto allora che questa parte che avrebbe dovuto avere importanza .massima è riuscita, generica e infusa di accenti particolari alla stessa speculazione dello scrittore (la descrizione d’Atene preistorica è parafrasi della "Politeia"); mentre l’altra è riuscita piena, viva, completa. Non solo ma, ancor di più, la parte storica non ha avuto sviluppo; essa è semplicemente enunciata; "compiuta infatti la descrizione dell’Atlantide, quando dovrebbe cominciare la narrazione della guerra il dialogo subitamente s’interrompe".
Pare a noi non si sia osservato abbastanza questo fatto.
Esso è una prova molto importante; esso ci rassicura di veridicità per il nucleo descrittivo. Platone ha si preparato il racconto delle guerra, ma ciò ha fatto fino al momento in cui c’era in lui viva l’attesa per esporre la parte proveniente dalla fonte sacerdotale egiziana.
Compiuta l’esposizione, il Maestro cui non potevano interessare vaghe fantasie ha troncato improvvisamente ogni cosa. Venuto insomma a mancare l’appoggio della fonte, svaniva, anche l’interesse e il dialogo e la trilogia stessa sono rimasti per: sempre incompiuti. D’altra parte ciò ch’era stato detto aveva la sua concretezza e la sua verità. Platone non solo non distrusse e frammento, ma lo corresse e lo portò a completa finitura. Il che se si osserva, non sarebbe avvenuto probabilmente, se avessero avuto importanza le sole ragioni che condussero Platone a trascurare l’ulteriore svolgersi della scrittura.

NOTE:
1. "Timeo", 24 e segg. Sarebbe da aggiungere anche l’accenno al mare dei Sargassi ("Crizia", 109a).
2. È notevole: gli storici della conquista spagnola descrivono la capitale degli Aztechi attorniata da canali e da bacini; ciò si vede dal disegno rimasto dai tempi dell’ultimo loro re. L’essenza in questi piani è un complesso intreccio d’acqua e terra in anelli concentrici.

giovedì 28 maggio 2009

Crizia: l'incompiuta di Platone?

Antonio USAI
archeomedia.net
Per anni gli storici moderni si sono scervellati nella ricerca del motivo per cui Platone non avesse terminato il "Crizia". Eppure leggendo "il Timeo" di Platone, si incappa in un passo nel quale è scritto da chi e il motivo per cui il "Crizia" non è stato portato a termine.

Infatti il cap. III del "Timeo" 21/22, parlando delle Apaturie, recita così: Ora uno della nostra tribù, sia che allora così pensasse, sia anche per compiacere a Crizia, disse che Solone gli sembrava essere stato non solo il più sapiente nelle altre cose, ma anche nella poesia il più nobile di tutti i poeti. Allora il vecchio, perchè lo ricordo bene, molto si rallegrò e sorridendo disse: Ma se egli, o Aminandro, non si fosse occupato superficialmente della poesia, ma seriamente, come altri, e avesse compiuta quella storia, che qui aveva portata dall' Egitto, e non fosse stato costretto a trascurarla per le sedizioni e gli altri mali, che trovò qui nel suo ritorno, né Esiodo, né Omero, né alcun altro poeta sarebbe stato, come io penso, più glorioso di lui. - E qual era - quello domandò - questa storia, o Crizia?-. La storia - rispose Crizia - dell'impresa più grande e più degna... ecc.ecc.

Questi passi del "Timeo" di Platone, fanno parte di uno dei vari "Timeo" che ho consultato, e tutti riportano questi passi:
- Bur:...e avesse completato il racconto che aveva portato qui dall'Egitto...
- Laterza, gia riportato sopra,
- Newton:...e avesse terminato quella storia che portò sin qui dall'Egitto.. -- e altri.

Quindi è stato il grande legislatore ateniese Solone a non terminare il racconto su Atlantide, e ne consegue che: come poteva Platone terminare il racconto di Solone, il quale per primo non l’aveva terminato?
Il motivo per il quale Solone non ha terminato il racconto: e non fosse stato costretto a trascurarla per le sedizioni e gli altri mali, che trovò qui nel suo ritorno,..

Ma nonostante ciò, alcuni studiosi affermano che, probabilmente, Platone si è inventato tutto per rappresentare la grandiosità di Atene, oppure che non ha completato il Crizia per dedicarsi alla stesura delle ”Leggi”.
Ma quest’ultima teoria si scontra con uno storico che sembrerebbe dire qualcosa di credibile: Plutarco (50 d.C. circa) che in “Vite parallele 1 Solone” parlando di Platone al 32.1 dice: Platone nell’ambizioso tentativo di trattare con ampiezza e abbellimenti l’argomento dell’Atlantide…. cominciò l’opera.… Senonché, avendo cominciato tardi a scrivere, terminò prima la vita che l’opera…
- Secondo Plutarco,quindi, Platone non termina il racconto perché muore. Però questo, a sua volta, contrasta con quanto afferma Aristotele, e cioè che l’ultima opera di Platone sono le “Leggi”. E Aristotele era un discepolo di Platone. Quindi Platone non può essere morto mentre scriveva il ”Crizia”. E non c’è neanche nessuno storico antico che sostenga che il “Crizia” sia stasto abbandonato per la stesura delle ”Leggi”. E su quanto afferma sempre Plutarco in ”Vite parallele” a proposito: dell’ambizioso tentativo (da parte sempre di Platone) di trattare con ampiezza e abbellimenti l’argomento dell’Atlantide (quindi inventando)…- sorgono 2 problemi:
1°: dove finirebbe il racconto incompiuto di Solone, e dove inizierebbe quello inventato da Platone?
2°: il passo di Plutarco, assieme alla teoria che il racconto sia tutto inventato, si scontra, a sua volta, contro quella corrente capeggiata da Crantore di Soli (IV sec. a.c. 1° commentatore del Timeo) che affermava la veridicità totale del racconto di Platone.

Inoltre se si accettasse, come motivo dell’inconpiuta, la morte, si potrebbe anche supporre che Platone sia morto non come dice Plutarco durante: l’ambizioso tentativo -, ma più semplicemente mentre riportava nei suoi scritti il racconto di Solone, che, per ironia della sorte, sarebbe rimasto, se fosse successo così, più incompleto dell’incompiuta stessa di Solone.

A meno che Platone non sia morto proprio sull’ultima parola del racconto di Solone. Ma non potrebbe essere, ancora più semplicemente, che Platone abbia lasciato il racconto incompiuto dove l’ha lasciato incompiuto Solone, senza aggiungere, ne omettere niente?
Non è poi così tanto strano. Accettando, invece, la teoria dell’invenzione del racconto e non terminato per dedicarsi alle “Leggi”, se vogliamo potremmo estrapolarne anche una storia con un risvolto buffo: Platone, intuendo che non sarebbe riuscito a terminare il racconto, si inventa il motivo dell’incompiuta del Crizia un libro prima, cioè nel Timeo, quando parla di Solone che non termina il racconto portato dall’Egitto.
Ne consegue che la colpa ricade su Solone.

Apro, ora, una parentesi per dire che c’è, a mio avviso, un indizio molto forte che scagiona Platone dall’accusa di aver inventato il racconto, ed è quando Crizia, nel Crizia, dice: …una pianura circondasse la città, e questa pianura di tremila stadi da una parte e di duemila dal mare fino al centro…. I monti che lo cingevano si diceva che superassero per numero, grandezza e bellezza tutti quelli ora esistenti (e qui fa anche capire che quell’isola c’è ancora, come scrive anche Vittorio Castellani; a mio avviso “sparisce sotto le acque” quell’isola formata dalle tre cinte di mare e due di terra)….lo rendeva diritto una fossa scavata all’intorno.
Non è credibile quel ch’è stato tramandato sulla profondità e larghezza e lunghezza di questa fossa,che cioè,come opera umana, avesse oltre al restante lavoro tali dimensioni; però bisogna dire quel che abbiamo udito.

Crizia non si meraviglia affatto delle misure enormi dei monti e della pianura, cioè di cose che fanno parte del paesaggio naturale (d'altronde lui mica li ha visti quei posti; quindi perché non crederci?), contesta solo le dimensioni enormi di quelle opere che avrebbe costruito l’uomo. E questo induce a pensare che quelle misure non si riferiscono all’unità di misura dei greci che era lo stadio (da 177 a 210 metri a secondo delle regioni), ma ad altre unità di misura. Quindi, per l’accusa, Platone, che era un filosofo, sarebbe stato così ingenuo da pensare che le persone avrebbero creduto ad un racconto del genere, con quelle dimensioni spropositate?

Oppure, peggio ancora, Platone avrebbe avuto una mente così contorta da “architettare” un racconto (vedere anche alcune righe più su quando scrivo di una storia con un risvolto buffo) in cui, per farlo credere veritiero, fa dire a Crizia, dopo averle scritte di proposito, che quelle opere con quelle dimensioni non sono credibili, in modo tale che le persone pensino quello che anch’io ho pensato, e cioè che quelle misure sono sballate, e di conseguenza anche tutte le dimensioni dell’isola non devono essere misurate in stadi ma in altre unità di misura? Platone ha fatto questo? Forse bisognerebbe rifletterci un po’ sù.

Chiusa la parentesi e tornando all’”incompiuta”, concludo dicendo che comunque girandola come si voglia, questa storia ha solo una e incontestabile certezza e cioè che l’unico vero artefice dell’incompiuta del racconto su Atlantide è stato il più saggio dei 7 sapienti di Atene: Solone. Che al povero Platone, sia resa un po’ di giustizia.

P.s.:

Platone-Crizia: .. e Poseidone, preso d’amore, giacque con essa: e per ben fortificare il colle, in cui quella abitava,lo spezzò d’ogni intorno, e vi pose alternativamente cinte minori e maggiori di mare e di terra, due ti terra e tre di mare, che quasi descrisse in cerchio dal centro dell’isola,…

Dal libro di Paolo Valente Poddighe “Atlantide Sardegna”: 53) Sira, era la proto Cagliari, ed era questa, come agglomerato Sacro, situato in una delle isole della laguna di Santa Gilla. È categorica per la localizzazione di Sira, l’incisione su rame risalente all’anno 1540, ove Sebastian Munster, ben addentro, del golfo di Cagliari la pone. La laguna aveva forma circolare, forma questa derivata sia dalla conformazione del suolo che dalle opere di steccati (a legname interposte) e da muraglie concentriche ad anello che, seguivano per tracciato, sponde contrarie artificiali e a poliedrico uso.

Nelle mie ricerche il nome Sira si trova in una cartina di un libro su Tolomeo e Munster (vedere cartine) e non è certamente la proto-Cagliari.
Era forse l’antica Neapolis? Oppure si trovava presso lo stagno di Cabras, nel golfo di Oristano? Se,come dice Poddighe (restìo a dare informazioni a riguardo), esiste questa incisione su rame con quella descrizione, sarebbe una semplice coincidenza? Platone è venuto in Sardegna prima di iniziare la stesura del Timeo e del Crizia? Oppure….

Libri consultati:
Platone Le opere ed. Newton, Roma, sett.2005;
Platone Opere complete 6 ed.Laterza Bari 2003;
Platone Timeo ed. Bur Milano 2003;
Plutarco Vite parallele 1 Solone e Publicola Torino nov.2005;
Varie enciclopedie
Atlantide Sardegna, Paolo Valente Poddighe, Stampacolor Industria Grafica, Muros (SS) Agosto 2006
Claudius Tolomeus, PTolomaus-Munster Geografia Basle 1540 Edizioni Sebastian Munster presso Biblioteca dell’Università area Umanistica di piazza d’Armi in Cagliari;
Quando il mare sommerse l’Europa di Vittorio Castellani ed. Ananke Torino 07/2005.

mercoledì 29 aprile 2009

Gli Stati Uniti promuovono l'Iran sul mercato dell'energia

AUTORE: M.K. BHADRAKUMAR

Tradutzioni dae Manuela Vittorelli



La scorsa settimana l'amministrazione Barack Obama ha fatto la sua prima mossa nella geopolitica dell'Eurasia con la nomina di Richard Morningstar a inviato speciale per l'energia eurasiatica. Il brillante e straordinariamente efficace diplomatico dell'amministrazione Bill Clinton torna dunque alla sua specialità.

Curiosamente, malgrado i consistenti legami con Big Oil, le prestazioni dell'amministrazione George G. Bush nella sfera della politica energetica sono state mediocri, e il russo Vladimir Putin ha battuto gli Stati Uniti nel Caspio. Adesso entra in scena Morningstar. Durante l'amministrazione Bush è stato consigliere speciale sull'ex Unione Sovietica del presidente e del segretario di stato, consulente speciale sulla diplomazia energetica nel bacino del Caspio e ambasciatore all'Unione Europea. Ha avuto un ruolo cruciale nella promozione – in condizioni di assoluta inferiorità – dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che emerge come una conquista duratura della diplomazia energetica degli Stati Uniti nel periodo post-sovietico.

Mosca dovrebbe prendere nota del rientro in campo di un formidabile avversario. Con quell'esperienza nell'Unione Europea e nella diplomazia energetica nel Caspio, la nomina di Morningstar significa che Washington intende fare un altro tentativo con il progetto del gasdotto Nabucco. Per agire con decisione e per mettere in moto il progetto bisogna procurarsi i finanziamenti, assicurarsi le necessarie forniture di gas, neutralizzare le contromosse russe e garantirsi il sostegno europeo. Il progetto Nabucco potrebbe riscrivere le relazioni tra la Russia e l'Unione Europea e consolidare la leadership transatlantica degli Stati Uniti. Il gasdotto lungo 3300 chilometri dal Caspio all'Austria attraverso la Turchia ridurrebbe la crescente dipendenza dell'Unione Europea dall'energia russa.

Nel 1998, in un importante discorso strategico, Morningstar disse: “L'obiettivo fondamentale della politica statunitense nel Caspio non è semplicemente quello di costruire gasdotti e oleodotti. Consiste piuttosto nell'usare quegli oleodotti e quei gasdotti, che devono essere validi sul piano commerciale, come strumenti per creare un quadro politico ed economico che rafforzi la cooperazione e la stabilità regionale e incoraggi le riforme per i prossimi decenni”.

Da allora la situazione è molto cambiata. Oggi la Russia sta risorgendo ed è molto diversa dal paese debole e traballante con cui aveva a che fare Morningstar negli anni Novanta. Neanche gli altri paesi produttori d'energia dello spazio post-sovietico – l'Azerbaigian, il Turkmenistan, il Kazakistan e l'Uzbekistan – possono più essere presi sottogamba. Sanno come funziona il mercato, sono abili nella negoziazione e non si fanno intimidire dalla diplomazia internazionale. La Cina è apparsa all'orizzonte come attore geopolitico dagli istinti assassini e dagli impareggiabili muscoli finanziari. Anche l'Iran si appresta a scendere in campo, e la Turchia non segue più docilmente i desideri americani.

Grandi potenze europee come la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi e l'Austria hanno estesi legami energetici con la Russia e sono poco inclini a veder tracciare linee di divisione tra Occidente e Oriente. Purtroppo c'è una totale disunione nei tentativi di formulare la politica estera europea. I paesi membri non confidano nella capacità dell'Unione Europea di proteggere i loro interessi e preferiscono invece iniziative nazionali bilaterali su questioni di sicurezza energetica. La crisi finanziaria ed economica scoraggia progetti dalla lunga gestazione e che necessitano di pesanti investimenti.

Inoltre Nabucco pone dei problemi. Come gasdotto che punta a trasportare il gas del Caspio verso l'Europa meridionale deve affrontare la forte rivalità del progetto South Stream voluto dalla Russia. Questa rivalità si è vista a Sofia, in Bulgaria, alla conferenza sul “Gas naturale per l'Europa” di venerdì, alla quale hanno presenziato 28 paesi europei, caspici e centro-asiatici, nonché Morningstar. La conferenza ha accuratamente evitato di appoggiare l'uno o l'altro progetto.

Inoltre c'è una triplice divisione tra i paesi europei riguardo a Nabucco. Né la Germania né l'Italia – che si sono assicurate rapporti energetici bilaterali con la Russia – sono inclini a fare ulteriori investimenti in progetti di diversificazione energetica, mentre i paesi della “Nuova Europa” vedono Nabucco come un modo per sottrarsi alla dipendenza dal gas russo. Nel frattempo gli Stati balcanici vogliono sia Nabucco che South Stream, dato che hanno l'occasione di intascare pesanti tariffe di transito. E la Turchia, che ambisce a diventare lo snodo energetico dell'Europa se Nabucco verrà realizzato, spera di usare questa carta per conquistarsi l'ingresso nell'Unione Europea, prospettiva invisa alla “Vecchia Europa”.

Un'altra spinosa questione è rappresentata dalla necessità di assicurarsi le riserve upstream per Nabucco. L'Azerbaigian, che è un potenziale fornitore per Nabucco, si è recentemente avvicinato a Mosca e ha firmato un contratto per fornire gas azero ai gasdotti russi. Morningstar dovrà persuadere Baku a tornare all'ovile. Ha contatti eccellenti a Baku, ma Baku ha una forte tendenza a compiacere Mosca.

I legami fraterni tra l'Azerbaigian e la Turchia recentemente si sono allentati a causa del riavvicinamento (incoraggiato da Washington) tra Turchia e Armenia. Baku ha avvertito che la prevista apertura della frontiera turco-armena “potrebbe provocare tensioni e sarebbe contraria agli interessi dell'Azerbaigian”. Conta sull'appoggio di Mosca per il ritiro delle truppe armene dalle regioni che circondano il Nagorno-Karabach, insistendo che la “normalizzazione delle relazioni turco-armene deve procedere parallelamente al ritiro delle truppe armene dalle terre occupate dell'Azerbaigian”.

Se Mosca riesce a ottenere un ritiro delle truppe armene il grande gioco caucasico muterà radicalmente. È significativo che durante la sua visita a Mosca del 17 aprile il Presidente azero Ilham Aliyev abbia detto di non vedere ostacoli a un contratto per la fornitura di gas alla maggiore compagnia energetica russa, Gazprom.

Senza il gas azero Nabucco potrebbe venir meno. Questo ha spinto gli Stati Uniti ad assicurarsi le riserve di gas del Turkmenistan. Non sorprende che Bruxelles e Washington si siano entusiasmate quando durante la conferenza sull'energia svoltasi giovedì ad Ašgabat il Presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov ha detto: “Oggi stiamo alla ricerca di condizioni che ci permettano di diversificare le rotte energetiche e di includere nuovi paesi e regioni nella geografia delle rotte... Una componente cruciale per assicurare l'affidabilità delle consegne energetiche internazionali è la diversificazione delle rotte, la creazione di un'infrastruttura ramificata per la consegna ai consumatori”.

Ma è troppo presto per festeggiare. Per citare Ana Jelenkovic, analista del think tank londinese con sede a Londra Eurasia Group, “Penso che molti europei e gli Stati Uniti stiano cercando di sfruttare quella che vedono come una flessione nelle relazioni tra la Russia e il Turkmenistan, ma io non mi affretterei a definirla una frattura geopolitica significativa”.

Gli Stati Uniti stanno in effetti studiando tutte le opzioni. Con una mossa sorprendente, durante l'incontro con i giornalisti dopo la conferenza di Sofia Morningstar ha parlato dell'Iran come di un potenziale fornitore di gas per Nabucco. “Ovviamente adesso ricevere gas dall'Iran crea delle difficoltà per gli Stati Uniti e per altri paesi coinvolti”, ha ammesso.

“Ci [gli Stati Uniti] siamo rivolti all'Iran, vogliamo dialogare con l'Iran, ma per ballare bisogna essere in due e speriamo che riceveremo dall'Iran riscontri positivi”, ha detto Morningstar. Avrebbe anche detto che Nabucco potrebbe benissimo esistere senza il gas iraniano, ma che gli Stati Uniti stanno realmente cercando di dialogare con Teheran. Era speranzoso sull'esito, dato che in caso di disgelo una possibile “carota” sarebbe lo sviluppo del settore energetico iraniano con tecnologia occidentale. Ha fatto capire che l'Iran è destinato a trarre enormi vantaggi dal profondo impegno dell'amministrazione Obama a favore della sicurezza energetica dell'Europa.

Fatto interessante, proprio mentre Morningstar parlava a Sofia, il delegato degli Stati Uniti alla conferenza di Ašgabat, il vice assistente del Segretario di Stato George Krol, nel suo discorso ha fatto un'altra proposta che coinvolge l'Iran. Ha detto che gli Stati Uniti restano aperti alla prospettiva di esportare gas dall'Asia Centrale verso l'Europa attraverso l'Iran, che confina a sud con il Turkmenistan. Il pubblico di Krol comprendeva delegati iraniani.

Evidentemente l'Iran aveva previsto l'inevitabilità di questo cambiamento di mentalità degli Stati Uniti. A febbraio aveva firmato una bozza d'accordo per lo sviluppo dei giganteschi giacimenti di gas di Yolotan-Osman, vicino al Turkmenistan orientale. L'Iran ha anche firmato un contratto per aumentare l'acquisto annuale di gas turkmeno a 10 miliardi di metri cubi, un quinto di quello che la Russia compra dal Turkmenistan. L'Iran ha anche discusso con la Turchia il trasporto del gas turkmeno verso l'Europa attraverso il gasdotto Iran-Turchia già esistente. Gli Stati Uniti inizialmente si erano opposti alla cooperazione turca con l'Iran su questo fronte, ma ora c'è uno spostamento di paradigma, con Washington a promuovere proprio questa cooperazione e a premere perché il gas iraniano assicuri la sicurezza energetica degli alleati europei.

Sorge però un interrogativo a proposito del testa a testa tra gli Stati Uniti e la Cina, in gara per accedere al gas turkmeno (e iraniano). La Cina è prossima a completare un gasdotto attraverso il Kazakistan e l'Uzbekistan verso il Turkmenistan (che può anche essere esteso all'Iran) che permetterà di esportare 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno entro i prossimi due anni. Pechino si dice fiduciosa sulla possibilità che i lavori sul gasdotto da 7000 chilometri terminino entro la fine di quest'anno. Il Turkmenistan ha promesso di fornire 40 miliardi di metri cubi di gas attraverso questo gasdotto.

Curiosamente, Morningstar ha adottato un atteggiamento differenziato con la Cina. Per quanto riguarda South Stream, ha espresso il proprio scontento senza mezze misure. Ha affermato con durezza: “Abbiamo dubbi su South Stream... Abbiamo dei gravi problemi”. Ma passando a parlare di Cina il suo atteggiamento è mutato completamente.

“Vogliamo sviluppare relazioni di collaborazione con tutti i paesi coinvolti”, ha detto Morningstar. “Viviamo un momento di crisi finanziaria che rappresenta davvero un problema per tutti noi. Non possiamo permetterci di litigare su questi argomenti e dobbiamo tentare di essere costruttivi e di di occuparci tutti insieme dei problemi comuni.

“La Cina è un paese con il quale ritengo che noi negli Stati Uniti vogliamo dialogare, a proposito di questioni energetiche. Non penso che sia una cattiva idea che la Cina sia coinvolta in Asia Centrale. Penso che questo sia d'aiuto ai paesi centroasiatici. Forse ci sono possibilità di cooperazione che riguardano le compagnie europee, le compagnie americane, i paesi europei, gli Stati Uniti – forse possiamo cooperare con la Cina in quella parte del mondo ed è un'occasione che dobbiamo almeno esplorare in quanto area di possibile cooperazione”.

A una sola settimana dall'inizio del suo nuovo incarico Morningstar ha già cominciato ad attaccare la volata. Ha delineato un ambizioso piano per la diplomazia energetica degli Stati Uniti nel Caspio che pone la sicurezza energetica europea sotto l'ala degli Stati Unitie punta a neutralizzare le conquiste russe nel Caspio risalenti all'era Bush. Ma vede positivamente le incursioni cinesi nell'Asia Centrale in quanto rispondono agli interessi geopolitici degli Stati Uniti di isolare la Russia e di stroncare le pretese di Mosca di considerare la regione come propria sfera di influenza.

Chiaramente Washington adotterà con l'Iran un approccio estremamente pragmatico. Sta segnalando la propria disponibilità a rinunciare alle sanzioni contro l'Iran e a promuovere invece l'Iran come rivale della Russia nel mercato europeo del gas sia come fornitore che come paese di transito per il gas centroasiatico. Pochi annali della storia diplomatica moderna eguaglierebbero il realismo degli Stati Uniti.

Washington spera dunque di ricostruire anche le relazioni USA-Iran. Teheran ha un disperato bisogno di modernizzare la sua industria energetica e di sviluppare il suo settore del gas naturale liquefatto, che fornisce lucrosissime opportunità di lavoro per le compagnie petrolifere hi-tech statunitensi. Non c'è dubbio che si tratti di una situazione favorevole sia a Washington che a Teheran.


Originale: US promotes Iran in energy market

Articolo originale pubblicato il 27/4/2009

L’autore

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

URL di questo articolo su Tlaxcala:
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domenica 19 aprile 2009

Il governatore Perry prevede la secessione del Texas

Rick Perry il governatore illuminato del Texas, dall’inizio del mese d’aprile conduce una campagna per il rafforzamento dei poteri degli stati di fronte all’ipertrofia del governo federale. “Penso che il nostro governo federale sia diventato opprimente a causa delle sue dimensioni, della sua intrusione nella vita privata dei nostri cittadini e delle sue interferenze negli affari del nostro Stato. È per questo che devo oggi esprimere il mio ferreo appoggio agli sforzi condotti in tutto il paese per ribadire i diritti degli stati come stipulato dal 10.mo emendamento alla costituzione degli Stati Uniti. Credo che ritornare allo spirito ed alla lettera della costituzione degli Stati Uniti ed al suo essenziale 10.mo emendamento, liberi il nostro Stato da regolamenti eccessivi e, in definitiva, rafforzerà la nostra Unione”, ha dichiarato [1].

D’altra parte, 800 assembramenti di protesta contro i prelievi fiscali imposti dal presidente Barack Obama, per sostenere le banche, le società d’assicurazione e le transnazionali dell’auto, si sono svolte dal 23 febbraio al 15 aprile (termine per la dichiarazione dei redditi) in numerosi stati. Sotto la parola d’ordine “2009 Tea Party” (in riferimento alla manifestazione a Boston che iniziò la guerra d’indipendenza), queste assemblee sono state l’occasione per esprimere una profonda diffidenza verso Washington e, anche, a resuscitare le bandiere confederate.

Il governatore Rick Perry non ha mancato ad assistere al “2009 Tea Party” del Texas. In quella occasione, ha dichiarato alla stampa: “Il Texas è un luogo unico. Quando siamo entrati nell’Unione, in 1845, una delle condizioni poste era che avremmo potuto andarcene se lo avessimo deciso… Spero che l’America in generale e Washington in particolare, ne siano a conoscenza. Abbiamo una grande Unione. Non c’è assolutamente nessuna ragione di scioglierla. Ma se Washington continua a infangare gli americani, sa che causerà ciò”. [2]

Questa dichiarazione ha avuto l’effetto di una bomba, tanto più che nel corso del discorso del governatore, il pubblico aveva urlato “Secessione” senza che l’oratore se ne dispiacesse. Gli eletti democratici hanno imposto che il governatore Perry chiarisse la sua posizione, in un contesto teso: recentemente milizie secessioniste si sono raccolte attorno all’attore Chuck Norris. [3]

Rick Perry è succeduto a George W. Bush come governatore del Texas. È conosciuto per le sue posizioni oltranziste a favore del cristianesimo, della pena di morte, del porto d’armi, per la penalizzazione dell’aborto e dell’omosessualità.
In occasione del conferimento del suo secondo mandato, nel 2007, aveva organizzato un pranzo di gala durante il quale il suo amico, il rocker Ted Nugent, sfoggiava una bandiera confederata nel mezzo di in una scenografia decorata con crani indiani.
Personalità estremamente popolare nel Texas, Perry è anche influente sulla scena internazionale come dimostra la sua partecipazione al gruppo Bilderberg. Dovrebbe ottenere un terzo mandato consecutivo nel 2010 e dovrebbe vincere a man bassa, se il candidato secessionista Larry Kilgore si ritira.


Traduzione di Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia



[1] «I believe that our federal government has become oppressive in its size, its intrusion into the lives of our citizens, and its interference with the affairs of our state, That is why I am here today to express my unwavering support for efforts all across our country to reaffirm the states’ rights affirmed by the Tenth Amendment to the U.S. Constitution. I believe that returning to the letter and spirit of the U.S. Constitution and its essential 10th Amendment will free our state from undue regulations, and ultimately strengthen our Union».

[2] «Texas is a unique place. When we came into the union in 1845, one of the issues was that we would be able to leave if we decided to do that...My hope is that America and Washington in particular pays attention. We’ve got a great union. There’s absolutely no reason to dissolve it. But if Washington continues to thumb their nose at the American people, who knows what may come of that».

[3] « Chuck Norris organizza la prima riunione delle milizie per la secessione del Texas », Rete Voltaire, 14 marzo 2009.

martedì 17 marzo 2009

DUE O TRE COSE DELLA BIBBIA CHE NON SAPPIAMO




Noi genericamente definiamo "Bibbia" quel librone di oltre mille pagine che troviamo un pò dappertutto, in chiesa come a casa nostra come nei motel dei film americani. Ma quel libro in realtà contiene sia il "Vecchio" che il "Nuovo" Testamento, ovvero la Bibbia originale degli ebrei - detta Tanach, che risale al 600-1200 A.C - più i Vangeli cristiani "canonici", scritti invece dopo Cristo.

Il "cristianesimo" quindi è, in un certo senso, una "libera interpretazione" della Bibbia originale ebraica, rivista, tramite l'aggiunta dei Vangeli, alla luce della predicazione di Gesù. La differenza fondamentale fra le due religioni sta proprio nel fatto che l'ebraismo non riconosce nella fìgura di Gesù il "Messia" annunciato dalle profezie bibliche, mentre il cristianesimo sì.

In questa sede, comunque, per "Bibbia" intendiamo esclusivamente il testo sacro, o Tanach, composto dei 39 singoli libri originali (Isaia, Ezechiele, Genesi, Esodo...ecc.) del canone ebraico. (Lista che, per la precisione, differisce per alcuni libri da quella adottata dal nostro "Vecchio Testamento").

I PARTE - BREVE STORIA DELLA BIBBIA

ORIGINE E CONTENUTO

Va detto innanzitutto che la Bibbia non è affatto un testo unitario, ma piuttosto un intricato compendio di tradizione orale, di fonti storiche, di miti e leggende popolari, sia locali che importate, di scritti dei vari profeti, di leggi e regole per l'igiene e la nutrizione, di poesie, canti e proverbi di ogni tipo. In altre parole, una summa cumulativa di tutto il sapere contemporaneo di quella regione, che cominciò a prendere forma definitiva, e ad essere considerata "Legge di Dio", soltanto intorno all'ottavo secolo avanti Cristo. Più avanti parleremo dell'effettiva stesura dei testi, che iniziò in quel periodo, per mano di scribi che non erano in nessun modo gli autori del testo originale.

IL TESTO ORIGINALE

I testi biblici erano scritti - in ebraico antico ovviamente, eccetto per brevi segmenti in aramaico - su lunghi rotoli di pelle, o di pergamena. Ben lungi dall'essere leggibili a prima vista, però, questi rotoli apparivano al lettore come una sequenza interminabile di lettere, dalla prima all'ultima riga. (In realtà, come si vede dalla foto accanto, ogni tanto ci sono delle spaziature multiple, che indicano però delle pause "emotive", e non hanno nulla a che vedere con la composizione delle singola parole).

P r a t i c a m e n t e l a b i b b i a a p p a r i v a s c r i t t a c o s ì

Non sono indicate le parole vere e proprie, ma devi trovartele tu, separando i gruppi di lettere al punto giusto. E siccome in realtà gli ebrei non scrivevano nemmeno le vocali, l'equivalente per noi sarebbe stato questo:

P r t c m n t l b b b p p r v s c r t t c s

Moltiplicate questo rebus per circa 2 milioni e mezzo di lettere consecutive, ed avrete davanti la Bibbia originale.

INTERPRETABILITA'

Il problema dell'"interpretabilità" della Bibbia è quindi a strati multipli, poichè bisogna prima di tutto mettersi d'accordo su quello che c'è effettivamente scritto sopra. Soltanto dopo si potrà affrontare un'eventuale lettura allegorica, o simbolica, del testo, e casomai, in ultimo, quella ancor più complessa ed arcana detta esoterica, o "cabalistica".

In un testo cosi lungo si verificano, per pura legge statistica, migliaia di casi in cui certe lettere possono essere attribuite sia alla parola precedente che a quella seguente, dando comunque un senso compiuto. L'udito, oppure lu dito? (Per un sardo, il problema potrebbe anche porsi).

Vi sono poi altrettanti casi in cui la variazione delle semplici vocali può dare adito a letture completamente diverse. Una cosa è dire "ti amo tanto", ben altra è dire "tu mi tenti", anche se le consonanti - t m t n t - rimangono le stesse. (Per non parlare poi di "temo i tonti", o di "Tom è tinto").

Naturalmente, nel corso del tempo le varie generazioni di rabbini sono giunte ad un consenso di massima sul significato di ogni frase, che è rispecchiato dalla moderna versione ebraica della Bibbia. Già che c'erano hanno pensato bene di aggiungere anche le vocali, e di staccare le parole. Anche l'occhio vuole la sua parte.

AUTENTICITA'

Come facciamo noi a sapere che questa versione "ufficiale" corrisponde davvero all'antico originale? In fondo, abbiamo visto come i Vangeli canonici siano stati martoriati, nel corso dei primi secoli, da correzioni, tagli e interpolazioni di ogni genere, volute dai padri della chiesa per adattare il credo, originariamente nato in Palestina, al mondo e alla mentalità dei gentili.

Per quel che riguarda la Bibbia, diciamo innanzitutto che per "originale" si intende, in realtà, la versione redatta nel 539 a.C. dal profeta Ezra, sulla via del ritorno da Babilonia, andando completamente a memoria. I "veri" testi antichi, infatti, erano stati tutti distrutti nel rogo del Primo Tempio, dai soldati di Nabuccodonosor. Fortunatamente sono stati ritrovati, nell'ultimo dopoguerra, i cosiddetti Rotoli del Mar Morto, dei libri sacri che la comunità sacerdotale degli Esseni aveva nascoto nelle inaccessibili grotte di Qumran (v. foto), e che così sono sfuggiti anche alla distruzione del Secondo Tempio, ad opera dei Romani, nel 70 d.C.

Fra questi rotoli si è ritrovato un libro quasi completo di Isaia (foto sotto), che antedatava l'esodo di Babilonia, e che risultò essere identico, lettera per lettera, alla versione tramandataci a memoria da Ezra.

Questa fu messa definitivamente per iscritto nel secondo secolo a.C., nella versione cosiddetta "masoretica", della quale però nessun originale riuscì a superare intatto le intemperie della storia. Il più antico testo completo della Bibbia ebraica disponibile oggi è il Codex Leningradensis, che è una copia del masoretico che fu redatta "soltanto" nel 1008 dopo Cristo.

Nonostante questo, grazie ad una seri di complicatissimi riscontri incrociati fra tutti i reperti biblici ritrovati finora - dal completo Isaia di Qumran, al più microscopico frammento di testo sacro - è stato possibile affermare con relativa certezza che la Bibbia ebraica contemporanea, cioè la versione masoretica, corrisponda fedelmente al testo originale del tempo dei profeti.

Ma vediamo adesso che cosa dice questo testo originale, nella sua traduzione letterale.




II PARTE - IL CONFRONTO CON L'ORIGINALE

IL PENTATEUCO

La tradizione vuole che i primi 5 libri della Bibbia, che noi chiamiamo Pentateuco, e gli ebrei Torah, siano stati scritti direttamente da Mosè, intorno al 1200 a.C. Fra questi sicuramente il piu importante è il primo, che noi chiamiamo Genesi, e gli ebrei chiamano Behreshit ("l'inizio"). In esso si descrivono sia la cosmogenesi che l'antropogenesi, cioè la nascita del mondo materiale, e quella dell'Uomo e delle altre forme viventi.

LA GENESI

Se ora noi confrontassimo il testo originale della Behreshit con quello della nostra Genesi, rimarremmo probabilmente di stucco. Che dire, ad esempio, di fronte alla scoperta che il mondo non sarebbe stato creato affatto da "Dio" (singolare maschile), ma da una allegra combriccola di "Dei"? Il termine Elohim infatti, che nella nostra Genesi è tradotto con "Dio", in ebraico è solo plurale, ed è sia maschile che femminile. (Qualcuno ricorda la frase "infelice" di Papa Luciani, che prima di morire volle farci sapere a tutti i costi che "Dio è uomo, ma anche donna"?).

Oppure, cosa dire di fronte al fatto che non fu l'uomo ad essere fatto "a sua immagine e somiglianza", ma è l'umanità che fu fatta "ricalcando i loro contorni"? Cioè, proiettando dei loro "parametri" astratti, ideali, nel mondo concreto della materia. Una cosa è lo "stampino" della ceralacca - che fra l'altro ci ha condannato a visualizzare l'uomo barbuto che ci perseguita da millenni col bastone alzato - ben altra è pensare ad una "cristallizzazione" nel mondo denso della materia di un progetto ideale, tanto puro quanto assoluto. Nello stesso modo, in un certo senso, in cui un regista "sogna" il proprio film, e poi gli dà una forma concreta usando attori, pellicola e cineprese. (Curioso come gli Aborigeni d'Australia, il più antico popolo vivente sulla terra, chiamino la nostra dimensione terrena "dreamworld", il mondo dei sogni).

ELOHIM O JAVEH?

A chi si ritrovasse ora confuso sul "nome di Dio" originale, ricordiamo che è la Bibbia stessa a mescolare le carte, poichè a volte presenta il Creatore come Elohim, altre volte lo chiama Javeh, o Jehovah (Giavè, Geova), e più raramente Adonài (Signore, Padrone). Elohim però, come detto, è soltanto plurale, maschile e femminile insieme (significa letteralmente "coloro che sono in alto", "i signori di sopra"), mentre sia Javeh che Adonài sono al singolare maschile (in realtà Javeh è neutro, ma non pone comunque una questione di pluralità).

Ma perchè allora, viene da domandarsi, "Dio" nella nostra Bibbia è stato tradotto al singolare? Qui non sta certo a noi rispondere, e possiamo al massimo avanzare un'ipotesi: già ai tempi dell'ebraismo, una delle chiavi unificatrici, a livello popolare, fu proprio l'introduzione del monoteismo (quante volte insiste a ricordarcelo, lo Javeh della Bibbia, che "non avrai altro Dio all'infuori di me"?). Un' altra cosa che contribuì a rinforzare l'impatto della nuova religione fu l'abolizione dell'idolatria. Fu quindi chiaro alla classe sacerdotale, già da allora, che meno "dispersione" simbolica c'è, nella mente del credente, più facile è per lui recepire il messaggio complessivo di quella religione.

Non stupisce quindi che i rabbini non amino troppo sentirsi chiedere "che cosa significa esattamente Elohim?", poichè dovrebbero introdurre una dimensione spirituale molto più complessa e delicata di quella del semplice "Dio" Javeh. Figuriamoci quindi gli stessi padri della chiesa cristiana, che già avevano mille problemi a mettersi d'accordo sui Vangeli canonici, che voglia avevano di rispettare anche questa distinzione, quando traducendo (in greco) tutto con "Dio", almeno quel problema non si poneva nemmeno. Accadde così che a loro volta gli anglosassoni, che tradussero dal greco - in inglese, con Erasmo da Rotterdam, ed in tedesco, con Martin Lutero - la loro versione della Bibbia, si ritrovarono come noi con un semplice "God" al singolare.

Ma perchè esiste, da dove origina, e cosa significa questo doppio presenza di Elohim e Javeh nella Bibbia originale? Questa è una domanda che assilla gli studiosi sin dai tempi dell'università di Tubinga, che agli inizi dell'800 dedicò un'intero ramo dei suoi studi all'esegesi biblica. Noi qui possiamo soltanto cercare di riassumere la tesi oggi generalmente più accettata, in cui tutto il materiale biblico sarebbe stato unificato, e messo per iscritto, da almeno quattro mani diverse, che sono riconoscibili dai diversi stili riscontrabili nell'arco della lettura. Questi stili però non si presentano in blocchi distinti e separati, ma si alternano ed accavallano in continuazione, a volte anche per pochi paragrafi, creando spesso una notevole confusione.

LE "CONTRADDIZIONI" NEL TESTO BIBLICO

Si potrebbero peraltro spiegare, in questo modo, certe contraddizioni plateali nel testo biblico, che dovrebbero saltare all'occhio anche del lettore meno attento. Nella Genesi, ad esempio, la stessa creazione viene raccontata non una ma due volte, a distanza di pochissime pagine, e in ordine capovolto una rispetto all'altra.

Nella prima versione viene creato prima l'Uomo, e poi tutti gli altri animali. Nella seconda, che appare a prima vista una semplice ripetizione, pochi paragrafi più sotto, vengono invece creati prima gli animali, e poi l'Uomo. Parimenti, all'inizio Uomo e Donna vengono creati insieme, poco più avanti l'Uomo precede la Donna, che viene creata dopo di lui.

In realtà la lista di contraddizioni - che di certo sono tali, se si legge il testo in maniera letterale - è abbastanza lunga da impegnare in discussioni che non terminerebbero mai. A queste andrebbero poi aggiunte le varie "imprecisioni scientifiche", come l'età della Terra fissata in circa seimila anni, oppure il fatto che la Terra sia "immobile al centro dell'universo, ben piantata sul suo piedestallo", che fu argomento del contendere sin dal tempo di Galileo. Tutto cambia, ovviamente, se si affronta la Bibbia come un testo a diversi livelli di lettura, ma questo ci porterebbe su un territorio che non siamo assolutamente preparati ad affrontare, e che esula comunque dal nostro intento.

Diciamo soltanto una cosa sull'apparente incompatibiltà fra Elohim e monoteismo. E' evidente che la "versione originale", con gli Elohim, ci propone non una molteplicità dispersiva di divinità, tutte in competizione una con l'altra, ma piuttostio una precisa gerarchia, armonica e ordinata, in cui Javeh starebbe molto più in alto di loro stessi. Nelle religioni orientali si trova una corrispondenza molto precisa, ad esempio, nei Cohan del buddhismo tibetano, che sono detti anche "i creatori della materia". Essi stessi sottostanno, gerarchicamente parlando, all'Uno Assoluto, esattamente come le mille divinità del pantheon indù rispondono obbedienti all'Ordine Assoluto del Brahma, o Uno Cosmico Universale. Nel Corano invece sono gli Arcangeli, ereditati dalla Bibbia ebraica, ad occuparsi del mondo materiale, sotto lo sguardo attento di Allah, e la stessa Bibbia nostrana ci parla ripetutamente di Angeli e Arcangeli, confermando quindi l'esistenza di una gerarchia superiore, funzionale ed omogenea, ma tutt'altro che dispersiva in senso politeistico.

TANTO RUMORE PER NULLA

Un'altra realizzazione, che potrebbe congelare in un solo istante le più accanite discussioni fra "evoluzionistì" e "creazionisti" (fra atei e credenti, alla fin dei conti) è che in realtà essi si accapigliano per nulla, poichè la Bibbia è un testo provvisorio, che va comunque sostituito da un'altro, che ancora non conosciamo. Purtroppo noi non la leggiamo quasi mai con attenzione critica, attivamente, ma ce la beviamo passivamente, "così com'è", e accade spesso di non cogliere dettagli importanti come questo.

Chi non ha mai letto, almeno una volta, la discesa dal Monte di Mosè, dopo che ha ricevuto da Javeh le Tavole della Legge? Ebbene, quando Mosè si accorge che il suo popolo non ha saputo aspettare, e si è messo ad adorare il vitello d'oro, dalla rabbia spezza le tavole di una legge che non si meritano, e le scaglia sotto il monte. E in seguito darà loro delle leggi molto più infantili, semplici e grossolane, in attesa che il suo popolo maturi e sia pronto a ricevere quelle vere.

Il problema è che Mosè poi è morto, Javeh è bel pò che non si fa più sentire, e a noi sono rimaste sul gobbo delle leggi crude, violente ed obsolete, scritte 3000 anni fa per un branco di nomadi ignoranti e adulatori. Volendo obbedire letteralmente alla Bibbia, ad esempio, se per caso nostro fratello morisse dopo il matrimonio, e noi invece non fossimo sposati, ci toccherebbe sposare per forza la cognata rimasta vedova, e fare subito un figlio con lei - anche se ha i baffi lunghi un metro. E se non lo facessimo, lei avrà il diritto di sputarci in faccia, davanti a tutta la famiglia riunita. (Chissà perchè certi cristiani si ricordano di citare la Bibbia solo quando gli serve contro gli omosessuali, o per giustificare schiavitù e pena di morte, ma poi si dimenticano completamente di osservare i mille obblighi come questo?)

A questo punto sorge però un dubbio: non sarà che questo Javeh è sparito apposta, perchè si aspetta magari che ci accorgiamo da soli di tutte queste incongruenze ridicole? Perchè non smettiamo per un attimo di seguire pedantemente la Bibbia come "parola di Dio", e proviamo invece a considerarla, alla pari di molti altri suoi equivalenti sulla Terra, come un prezioso documento storico, il cui valore spirituale - indipendentemente da chi sia stato a scriverla - va ricercato in profondità, in maniera attiva, cosciente e selettiva, e non soltanto "letto" in superficie, in maniera meccanica e passiva?

(Fatti non foste… )

Iscritu dae: Massimo Mazzucco pro www.luogocomune.net

mercoledì 25 febbraio 2009

LA PSICOFISIOLOGIA DEL SOGNO LUCIDO

LA PSICOFISIOLOGIA DEL SOGNO LUCIDO

La verifica fisiologica del sogno lucido

Una volta restituita la debita rilevanza al corpo, nel trattare la fenomenologia oggetto di studio, la domanda che si impone alla nostra attenzione è: sotto quali condizioni fisiologiche si verificano i sogni lucidi? La maggior parte dei ricercatori hanno accettato l'ipotesi di Hartmann, secondo la quale i sogni lucidi non sono "parti tipiche del pensiero di sogno, ma brevi risvegli" (Hall, 1981; Moss, 1989). Stewart (1989) e Zadra (1992) hanno rilevato che durante il sonno REM si verificano frequenti risvegli transitori e hanno proposto questi "micro-risvegli" come base fisiologica del sogno lucido. Evidenze empiriche a conferma che i sogni lucidi avvenivano durante la fase REM, erano apparse già verso la fine degli anni settanta. Ogilvie et al. (1978) offrirono alcune osservazioni preliminari sulla fisiologia del sogno lucido. Si basarono su comuni registrazioni del sonno di due soggetti che riferirono un totale di tre sogni lucidi in seguito al risveglio dal sonno REM. In ogni caso, nessuna prova era stata fornita che i sogni lucidi erano avvenuti durante la fase REM immediatamente precedente ai risvegli e ai resoconti. Ciò che era necessario per stabilire senza ambiguità lo stato fisiologico del sogno lucido era una sorta di resoconto fornito dalla scena di sogno. LaBerge e i suoi collaboratori all'Università di Stanford si occuparono di fornire non solo la prova che i sogni lucidi si verificano prevalentemente durante la fase REM del sonno, ma anche la prova dell'esistenza della lucidità in sogno. Essi architettarono un esperimento che prevedeva la segnalazione, attraverso i movimenti oculari, del momento in cui i sognatori si accorgevano che stavano sognando, ossia del momento in cui diventavano lucidi. Più precisamente, i sognatori, nel momento in cui diventavano consapevoli che di fronte a loro si dispiegava uno scenario onirico, dovevano compiere un certo numero di movimenti oculari, a destra e a sinistra, stabiliti in precedenza con gli sperimentatori. Questo tipo di esperimento, ripetuto più volte e da diversi autori, doveva condurre alla convinzione, fondata su basi sperimentali, che i sogni lucidi sono una realtà esperienziale e che avvengono prevalentemente durante la fase REM del sonno.

2 La respirazione di sogno e il corpo

Un'attività fisiologica indagata da LaBerge e il suo gruppo è stata quella respiratoria. Hanno allestito un esperimento per determinare in quale misura i modi di respirare dei sognatori lucidi concordassero con quelli del loro respiro da svegli. Essi erano interessati a verificare se nei soggetti che all'interno del sogno trattengono il respiro, questo si ferma anche fisicamente. A questo scopo concordarono con i soggetti onironauti una forma di respiro da attuare poi ogni volta che si accorgevano che stavano sognando. Dall'esperimento conclusero che il controllo volontario dell'immagine mentale del respiro durante il sogno lucido si riflette in cambiamenti corrispondenti della nostra effettiva respirazione.
Tuttavia non dobbiamo sorprenderci troppo di questi risultati in quanto potrebbero verificarsi anche per altre attività, se non ci fossero dei meccanismi biologici specifici che lo impediscono; conclude infatti LaBerge. Tutto quello che abbiamo dimostrato con la nostra ricerca è che il contenuto respiratorio nella coscienza di un sognatore sembra influire sull'effettivo modello di respiro di chi sogna. La stessa relazione si presenterebbe probabilmente vera per il camminare, il parlare o qualsiasi altra forma di comportamento, se non per il fatto che la maggior parte dei nostri muscoli sono paralizzati durante il sonno REM (1985, p. 81).

3 L'attività sessuale e il corpo

Un'attività onirica che sarebbe interessante studiare nelle sue relazioni con i processi fisiologici è l'eccitazione sessuale e l'orgasmo. La ricerca di LaBerge è proseguita in questo senso cercando di accertare, attraverso molteplici rilevazioni elettrofisiologiche, se durante una attività sessuale onirica, si verificano modificazioni nel corpo paragonabili a quelle dello stato di veglia. Egli istruì alcuni soggetti a segnalare le varie fasi di eccitazione e di orgasmo durante il sogno lucido, con segnali messi in atto dai movimenti oculari. I risultati delle rilevazioni elettrofisiologiche abbinate ai segnali forniti dal soggetto sono così riferiti e commentati da LaBerge. Come nel caso di Miranda, la registrazione poligrafica di Randy rivelò una precisa corrispondenza con la relazione del suo sogno lucido. Durante i trenta secondi di attività sessuale indicati dal suo secondo e terzo segnale, la frequenza del suo respiro raggiunse il massimo dei periodi REM, esattamente come per Miranda. L'estensimetro indicò che la sua erezione, dopo essere cominciata poco prima dell'inizio del periodo REM, aveva raggiunto il suo massimo livello tra il secondo e terzo stadio. Una lenta detumescenza era cominciata quasi immediatamente dopo l'orgasmo sognato. Il cuore di Randy, come quello di Miranda, mostrò solo un moderato aumento di frequenza durante l'orgasmo nel sogno lucido. In generale questi orgasmi sembrarono innescare risposte fisiologiche molto simili nei loro corpi addormentati. Questo in particolare, per l'aumento della frequenza del respiro in entrambi. Un'importante implicazione è che, sotto certi aspetti, il sogno lucido sessuale ha un potente impatto sul corpo del sognatore come nella realtà (ivi, pp. 86-87, c. n.). Questi esperimenti sono molto interessanti, non pretendono di rivelare verità assolute e indiscutibili, ma sicuramente scuotono alla base tutte le concezioni culturali sul sogno che vedono quest'ultimo come un processo semplicemente immaginativo. L'impressione che abbiamo nel leggere i resoconti degli esperimenti di LaBerge è che il sogno, soprattutto se lucido, assomigli decisamente ad uno scorcio di vita reale vissuta, con le implicazioni di espansione e di crescita che la vita ci accorda. Confinare il sogno a fenomeno immaginativo significa negare una parte della vita. LaBerge e i suoi colleghi ci hanno dimostrato che quando sogniamo, e in special modo quando sognamo lucidamente, non è coinvolta solo la nostra mente, ma anche il nostro corpo è implicato fortemente. In conclusione gli studi compiuti da LaBerge e il suo gruppo all'università di Stanford hanno evidenziato come l'attività fisiologica che si correla con il fenomeno onirico assomiglia maggiormente all'attività percettiva che a quella immaginativa, e ciò è stato dimostrato in modo abbastanza preciso. Come egli stesso scrive i nostri studi allo Stanford coprono una vasta area mostrando la relazione tra cambiamenti fisiologici nel corpo dei sognatori lucidi e una varietà di operazioni compiute dal loro corpo "onirico" nei loro sogni (1985, p. 76).

FENOMENI ASSOCIATI ALL'ESPERIENZA DEL SOGNO LUCIDO


1 Il senso di realtà'

Nel corso di un sogno lucido, i soggetti ritengono che lo stato di coscienza sia chiaro e preciso e che le cose appaiano "come esse sono realmente". L'impressione che ne deriva è che il nostro stato ordinario di coscienza sia distorto e parziale, e che viviamo in uno stato di illusione (trance consensuale). Così si evidenzia che: (a) il senso di realtà rappresenta una funzione distinta rispetto al giudizio di realtà, anche se essi spesso operano in sincronia; (b) la percezione del senso di realtà non è inerente alla sensazione, in quanto nel sogno lucido le sensazioni non sono evocate da stimoli esterni. Gli stimoli del mondo interno divengono investiti del senso di realtà ordinariamente concesso agli oggetti. Attraverso ciò che può essere definito "spostamento di realtà" i pensieri e le immagini diventano reali (Deikman, 1966). Sognare lucidamente conferisce al sognatore la possibilità di esperire stati "altri" di coscienza e la possibilità di esplorare l'area dell'ignoto con il conseguente arricchimento che tutta la personalità può trarre dalla conoscenza diretta. L'esperienza del sogno lucido è vissuta dal sognatore come estremamente reale a causa della disidentificazione che egli vive rispetto ai contenuti dei suoi sogni. Egli è pura consapevolezza che osserva il film onirico proiettato dalla sua stessa mente.

2 Unita'

Da una parte la percezione di unitarietà può rappresentare la percezione della propria struttura psichica, dall'altra l'esperienza può essere la percezione della reale struttura del mondo. Come suggerisce Deikman "L'unità potrebbe essere, infatti, una proprietà del "mondo reale" che diventa percepibile attraverso le tecniche della meditazione del sogno lucido, della rinuncia, o sotto speciali condizioni che creano una spontanea e breve esperienza" (p. 112).

3 Ineffabilità

Anche se a volte i sognatori lucidi scrivono lunghi resoconti, essi sostengono che quest'esperienza non può venire comunicata tramite la parola o facendo riferimento ad esperienze simili che avvengono durante la vita di veglia. Essi sentono che non ci sono parole per comunicare l'intensa realtà e le sensazioni sconosciute.

4 Fenomeni trans-sensoriali

Molti sognatori lucidi sottolineano che l'esperienza va al di là degli usuali canali sensoriali, ideativi e mnestici. Essi descrivono questo stato come pieno di profonde e vivide percezioni.

5 Trascendenza dello Spazio e del Tempo

Questa categoria si riferisce da una parte alla perdita dell'usuale senso dell'orientamento, in termini di percezione tridimensionale consueta della vita di veglia, dall'altra ad un radicale cambiamento della prospettiva nel quale ci si trova improvvisamente come se si fosse fuori dal tempo, al di là del passato e del futuro. In questo stato di coscienza, spazio e tempo sono generalmente concetti senza significato. I concetti di spazio e tempo sono prodotti dal modo di essere della mente che divide e classifica; lo spazio del sogno è uno spazio di creazione, le immagini vengono create anche in funzione dei desideri consapevoli, e il corpo di sogno non sottostà alle leggi della gravità, infatti, molti sognatori lucidi si descrivono come delle consapevolezze volanti. Il concetto di tempo è legato al carattere consequenziale degli eventi, nel sogno lucido l'unica consequenzialità riscontrabile è quella tra desiderio e creazione, il tempo (come noi lo intendiamo) per il sognatore non esiste, la sua esperienza è quella di un tempo unico, un eterno presente, un tempo senza tempo.

6 Senso del Sacro

La sacralità viene qui definita come una risposta irrazionale, intuitiva, palpitante alla presenza di realtà ispiratrici. E' ciò che le persone percepiscono come qualcosa che ha uno speciale valore. I sognatori lucidi spesso provano questa sensazione quando si risvegliano dal sogno; la loro esperienza assume per essi un valore del tutto speciale, che, per quanto possa venire raccontata e condivisa a livello intellettuale, rimane per i sognatori una realtà esperita in uno stato "altro" di coscienza, per il quale essi provano attrazione, rispetto e devozione, e anche un sano desiderio.

7 Profondi Sentimenti Positivi

Questa categoria mette a fuoco sentimenti come la gioia, l'amore, e la pace inerenti alla coscienza mistica. Ci sembra possibile assimilare i vissuti dell'esperienza del sogno lucido a questa categoria di sentimenti, in quanto se l'esperienza diretta del sognare lucidamente non sempre è associata a tali sentimenti, il risveglio dal sogno lucido è caratterizzato generalmente dalla presenza di sentimenti di intensa gioia, la sensazione di conoscere un pò più sé stessi, una migliore disposizione nei confronti del proprio ambiente di relazione.

8 Paradossalità

Questa categoria riflette la maniera nella quale aspetti significativi della coscienza onirica sono percepiti dal sognatore come reali, a dispetto del fatto che essi violano le leggi della logica aristotelica. L'esperienza del sogno lucido, è paradossale per chi ascolta il resoconto del sognatore ma non per il sognatore stesso. E' proprio l'esperienza della paradossalità e dell'assurdo che permette l'insorgenza di profondi sentimenti positivi. Il sapere linguistico è differente dal sapere esperienziale, e quest'ultimo è traducibile nel primo solo a costo di profonde distorsioni. Il sognatore lucido conosce qualcosa in più delle possibilità umane, proprio come il mistico, ma il compito di comunicare l'esperienza ad altri appare impossibile.

9 Transitorietà

La speciale ed inusuale forma di coscienza di sogno può durare da una manciata di secondi fino a qualche minuto. Tuttavia la durata della lucidità in sogno è strettamente connessa con il livello di consapevolezza raggiunto dal sognatore. Sviluppando la consapevolezza attraverso le tecniche più adatte a ciascuno è possibile aumentare il tempo di lucidità fino a rendere tale stato relativamente stabile, ma si può andare anche oltre (per esempio praticando lo Yoga Tibetano del sogno) ed arrivare a testimoniare stabilmente il proprio sonno senza sogni.

10 Cambiamenti positivi nell'atteggiamento e nel comportamento

Le persone che hanno sperimentato il contenuto delle categorie sopra discusse concordano nel riferire cambiamenti nelle attitudini (1) verso se stessi, (2) verso gli altri, (3) verso la vita. Viene descritto un aumento nell'integrazione della personalità, un rinnovato senso dei valori personali in aggiunta al rilassamento degli abituali meccanismi di difesa dell'Io. La sensazione comune a queste persone è che i loro problemi possono finalmente essere affrontati, ridotti o definitivamente eliminati. La pratica costante del sogno lucido e delle tecniche che lo possono indurre porta generalmente alla trasformazione radicale della personalità e alla nascita di nuove qualità adattative sul piano del sé e delle relazioni con gli altri. I sognatori lucidi riferiscono di vivere le loro vite ad un nuovo livello di integrazione psicologica, di sperimentare sensazioni di soddisfazione e di compimento unite a sensazioni di potere (inteso come capacità di contribuire allo sviluppo della convivenza nel proprio ambiente) che si contrappongono fortemente col vissuto che caratterizza lo stallo dell'impotenza nevrotica. E' implicito, in queste affermazioni, il tentativo di sottolineare come l'apprendimento di questo tipo di esperienze possa costituire un importante fattore terapeutico nella cura delle nevrosi e delle depressioni.

11 Fenomeni Estetici

L'esperienza del sogno lucido assomiglia molto a quella prodotta da una dose di LSD. la persona che viaggia in acido sa che tutto ciò che vede è il prodotto dell'incontro tra la droga e alcune potenzialità del sistema nervoso umano. Egli gode meravigliato delle immagini estetiche create dalla sua stessa mente, egli sa che sta viaggiando in una dimensione trasformativa dai ritmi vertiginosi, e difficilmente egli scambia ciò che vede per realtà. Analogamente, i sognatori lucidi creano i fantasmagorici ambienti di sogno rimanendo consapevoli che si tratta di una creazione delle loro menti. Possono esprimere desideri e realizzarli direttamente nel sogno, possono creare immagini fantastiche, giochi di colori e ogni tipo di rappresentazione inimmaginabile. Ci sembra, per concludere, di poter sottolineare la posizione attiva e costruttiva dei sognatori lucidi che applicano la propria volontà alla direzione dell'esperienza. Molti sognatori riferiscono di provare intuizioni molto profonde e illuminanti di talune idee o problemi e di avere molte immagini visive vivide e tridimensionali.

SOGNO LUCIDO E "RISVEGLIO"


La possibilità di sperimentare uno stato di lucidità durante l'attività onirica comporta una serie di implicazioni e di interrogativi di tipo filosofico, volti al tentativo di comprendere i meccanismi della coscienza che operano durante il sonno, ma anche quei meccanismi che regolano la nostra coscienza di veglia. Infatti, quando sognamo esperiamo i nostri sogni come realtà; tutto il nostro essere percettivo ed emotivo si identifica con il contenuto degli stessi, a tal punto che possiamo provare forti angosce oppure gioie e piaceri. Quando la lucidità sopraggiunge ad illuminare la scena di sogno, l'esperienza muta completamente: sappiamo che stiamo sognando, sappiamo quindi che il sogno non è reale ed emerge la consapevolezza del fatto che esso è una costruzione della nostra mente. Questo processo porta alla configurazione di un continuum del grado di consapevolezza che va da un minimo nei sogni non-lucidi ad un massimo nei sogni lucidi; può sorgere di conseguenza l'ipotesi che esista la possibilità di estendere anche allo stato di veglia ciò che abbiamo visto accadere nello stato di sogno: anche durante lo stato di veglia la consapevolezza può essere presente in grado maggiore oppure minore, dando origine nel primo caso ad una sorta di illusione di realtà caratteristica del sogno non-lucido, e nel secondo ad uno stato di veglia lucida . Se l'ipotesi è percorribile, dovrebbe esistere uno stato di coscienza proprio dello stato di veglia, paragonabile all'insorgenza della lucidità in sogno e che potremmo chiamare veglia "Risvegliata".

Grafico Lucidità


La consapevolezza aumenta proporzionalmente nello stato di sogno e nello stato di veglia, portando al sogno lucido da una parte e al Risveglio dall'altra. Queste implicazioni sono state valutate da Judith R. Malamud: Nel presentare la ricerca sul sogo lucido, in un contesto esteso alla filosofia, spero di chiarire come diventare lucidi in sogno.

L' induzione attraverso la tecnica e l'impegno continua....

L' induzione attraverso la tecnica e l'impegno

Secondo la tradizione tibetana dello Yoga del Sogno, è possibile, attraverso l'esercizio di tecniche appropriate e la disciplina, arrivare ad un punto in cui la nostra presenza consapevole permane costante, durante la veglia e durante il sonno. E' possibile quindi sviluppare un atteggiamento vigile, distaccato, e soprattutto consapevole anche in sogno.

A) Diversi autori affermano che la pratica della meditazione può facilitare l'emergenza del sognare lucidamente. Tra questi, Sparrow (1976) afferma che meditare nelle prime ore del mattino sovente porta a sognare con lucidità durante il sonno immediatamente successivo alla meditazione, a condizione però che non si mediti con il fine di esperire sogni lucidi. Altri autori hanno suggerito che la meditazione favorisce il sogno lucido (Glicksohn, 1989; Hearne, 1983; Norbu, 1993; Walsh e Vaughan, 1992). Michael Katz, nell'introduzione al libro Lo Yoga del Sogno, riferendosi ad un sogno lucido che aveva lasciato in lui una profonda impressione afferma: L'intera esperienza era stata affascinante. La considero ancora una delle esperienze più significative della mia vita. Il Lama che sovrintendeva al ritiro la paragonò all'aver passato un esame di guida. Da quella volta ho avuto parecchie esperienze di lucidità durante il sogno. Non posso dire che mi capitino ogni notte, ma avvengono con regolarità. La loro frequenza aumenta nei periodi in cui pratico intensamente la meditazione, ad esempio durante i ritiri. Inoltre ho constatato che se di notte mi sveglio e pratico la meditazione, quando mi riaddormento faccio frequentemente sogni lucidi (Norbu, p. 12). Sembra fondata dunque l'ipotesi che la pratica della meditazione favorisca il sognare lucidamente, ma ci sembra opportuno precisare che in questo caso, il sogno lucido costituisce un epifenomeno dovuto alla trasformazione della coscienza prodotta dalla pratica costante della meditazione. Lo scopo del meditante non è quello di sognare lucidamente ma di evolvere sul sentiero spirituale. Le tecniche meditative si basano sulla possibilità di invertire il processo dell'attenzione dall'esterno (direzione verso la quale l'attenzione è costantemente rivolta), all'interno di noi stessi, sviluppando la capacità di eludere i sensi, di contemplare il vuoto mentale e infine di permettere alla consapevolezza di osservare se stessa. E' evidente a questo punto che l'aumento della possibilità di diventare lucidi in sogno è strettamente connesso con la crescita del livello generale della consapevolezza che risulta inevitabilmente dalla pratica costante di una tecnica. In questo senso, ci sembra che la meditazione si possa definire come la via regia per il raggiungimento della veglia perenne. Per riassumere il punto di vista dello Yoga tibetano sulla relazione tra il sogno lucido e l'illuminazione vengono a proposito le parole di Namkahai Norbu per il quale quando inizia il bardo dell'esistenza riprende il funzionamento o l'attività della mente, insieme al cosiddetto "corpo mentale". Ciò equivale al sorgere dello stato del sogno. Nella pratica, dobbiamo avere la consapevolezza o la padronanza dello stato della luce naturale. Quando si è coscienti della presenza di questo stato di luce naturale, nel momento in cui inizia lo stato del sogno si diventa spontaneamente lucidi e consapevoli di sognare durante il sogno stesso, e automaticamente si ottiene il controllo sui propri sogni. Ciò significa che il sogno non condiziona più il sognatore, ma al contrario è l'individuo a governare il sogno. Per questa ragione la pratica del sogno è secondaria, mentre non mi stancherò mai di ripetere quanto sia importante la pratica della Luce Naturale (ivi, p. 44).

B) Un'altra tecnica in grado di sviluppare la capacità di sognare lucidamente, come abbiamo già accennato sopra, è la MILD (Induzione Mnemonica del Sogno Lucido). Essa è descritta da LaBerge nel suo libro Lucid Dreaming, ed è basata su niente di più complesso o esoterico della nostra capacità di ricordare che vi sono azioni che desideriamo compiere nel futuro. Oltre a scrivere dei promemoria, noi riusciamo a farlo formando una connessione mentale fra ciò che vogliamo fare e le circostanze future in cui vogliamo farlo. Questa connessione è molto facilitata dall'accorgimento mnemonico di visualizzarci nell'atto di fare quello che intendiamo ricordare. E' anche utile verbalizzare l'intenzione: "Quando accadrà questo e questo, voglio ricordarmi di fare questo e questo." Per esempio: "Quando passerò davanti alla banca, voglio ricordarmi di ritirare del denaro." La frase che io uso per organizzare lo sforzo che mi sono proposto è: "La prossima volta che sognerò voglio ricordarmi di accorgermi che sto sognando." Il "quando" e il "che cosa" dell'azione progettata devono essere chiaramente specificati. Io esprimo questa intenzione o immediatamente dopo essermi svegliato da un periodo REM, o dopo un periodo di piena coscienza come verrà specificato. Un punto importante è che, per ottenere l'effetto desiderato, è necessario fare qualcosa di più che recitare distrattamente la frase. Bisogna davvero voler fare un sogno lucido. Ecco il procedimento consigliato passo per passo:

1) Alle prime ore del mattino, quando vi svegliate spontaneamente da un sogno, ripensatelo varie volte, finché lo avete memorizzato.

2) Poi, mentre siete a letto e tornate a dormire, ditevi: "La prossima volta che sognerò voglio ricordarmi di accorgermi che sto sognando."

3) Visualizzatevi nuovamente nel sogno che avete appena fatto e che ricordate; ma questa volta vedetevi nell'atto di essere consapevoli di sognare.

4) Ripetete i numeri 2 e 3 finché sentite che vi siete fissati bene in mente la vostra intenzione o finché vi addormentate. Se tutto va bene, in breve tempo vi troverete lucido in un altro sogno. Il complesso mentale implicito in questo procedimento è molto simile a quello che adottiamo quando decidiamo di svegliarci a una certa ora e andiamo a letto dopo aver messo a punto la nostra sveglia mentale. La capacità di svegliarci nei nostri sogni può essere considerata come una sorta di perfezionamento della capacità di svegliarci dai nostri sogni. Il motivo per cui questi esperimenti vanno fatti nel primo mattino è che i sognatori lucidi, da van Eeden alla Garfield, hanno riferito che tali sogni avvengono quasi esclusivamente durante le prime ore del mattino. La nostra ricerca allo Stanford indica che il sogno lucido avviene durante i periodi REM, e, poiché il sonno REM si verifica nell'ultima parte della notte, sembra essere questo il momento più favorevole per il sogno lucido. Sebbene alcuni sognatori abbiano indotto con successo sogni lucidi usando la MILD durante il primo periodo REM, la tecnica sembra essere più efficace se praticata nel primo mattino dopo essersi svegliati da un sogno (1985, pp. 137-139). Interessante quanto macchinosa la tecnica escogitata da LaBerge, basata su una forte motivazione, una buona memoria e soprattutto la pratica della visualizzazione che consiste nello sviluppo della tecnica immaginativa di visualizzarsi nella situazione. E' probabile che la tecnica se praticata regolarmente e con impegno possa dare dei buoni risultati. Il sogno lucido così raggiunto non sarebbe però il risultato di un più ampio sviluppo della personalità e della coscienza; tuttavia, anche se questa esperienza fosse soltanto il risultato occasionale di una tecnica, potrebbe comunque favorire l'acquisizione di una maggiore integrazione psicologica.

4.3. Induzione del sogno lucido attraverso stimolazioni esterne

Un'altra tecnica di induzione del sogno lucido è basata sull'idea di fornire un segnale esterno per ricordare al sognatore che sta sognando. Sono stati effettuati numerosi tentativi per mettere in pratica questa idea, con vari esiti. La maggior parte degli studi ha utilizzato segnali acustici, mentre in altri sono stati usati stimoli tattili. La maggior parte dei dati a disposizione riguarda gli studi che hanno adottato un approccio diretto: suggerimento verbale del tipo "questo è un sogno", rivolto a soggetti preparati, durante il sonno REM, usato per indurre la lucidità. Uno studio compiuto da LaBerge (1985) ha prodotto risultati promettenti, suggerendo l'attuabilità di questa tecnica. Incoraggiati da tale studio, LaBerge, Owens, Nagel e Dement (in LaBerge, 1986) hanno registrato quattro soggetti (due sognatori lucidi esperti e due inesperti) da una a due notti ciascuno. Un nastro registrato ripeteva la frase "questo è un sogno" ad un volume che aumentava progressivamente cinque o dieci minuti dopo l'inizio di ciascun periodo REM. I soggetti avevano ricevuto l'istruzione di segnalare con un paio di movimenti oculari intenzionali, sia a destra che a sinistra, ogni qualvolta avessero udito il nastro oppure avessero realizzato di sognare. I tecnici spegnevano il nastro immediatamente appena osservavano i segnali dei movimenti oculari sul poligrafo. LaBerge et al. (1986) hanno rilevato che lo stimolo del nastro applicato quindici volte ha prodotto la lucidità nel 33% dei casi, anche se tutti questi sogni lucidi non sono durati più di qualche secondo. In una variazione, in cui lo stimolo che doveva ricordare ai sognatori che stavano sognando, era di tipo tattile, Hearne (1983) ha verificato l'efficacia di scosse elettriche al polso. Tra quindici soggetti di sesso femminile che hanno passato una notte ciascuno nel laboratorio del sonno, sei hanno sperimentato un sogno lucido stimolato con questo metodo. Hearne non riferisce il numero totale di scosse applicate, rendendo così difficile effettuare una valutazione. Altri studi riportano la relativa inefficacia di questo metodo. Dei processi di induzione che abbiamo appena descritto, quest'ultimo ci sembra senz'altro il più grossolano, in quanto meccanico, poco spontaneo, e soprattutto non abbinato allo sviluppo parallelo della consapevolezza.