martedì 3 agosto 2010

La scienza della persuasione

Immagine by Shephard Fairey

traterraecielo.net

Il condizionamento nel Mondo Nuovo e l’esperimento di Pavlov.


Nel romanzo Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, ambientato in un ipotetico futuro, viene descritta una società distopica perfettamente pianificata, una società in cui la stabilità è raggiunta per mezzo dell’ingegneria genetica, del precoce condizionamento attuato sugli individui sin dalla più tenera età e mediante l’annullamento delle libertà personali.
In tale società, rigidamente divisa in caste, vi è quindi necessità di una forza lavoro che svolga mansioni con differenti gradi di specializzazione; di conseguenza, per fare in modo che nessuno sia scontento della propria posizione, ad ogni individuo viene riservata sin dalla più tenera età una diversa formazione.
Nei casi delle caste inferiori, i gamma e i delta, questa formazione sarà anche finalizzata nel mantenere basso il quoziente intellettivo dei soggetti, dal momento che coloro che sono preposti allo svolgimento dei lavori più umili è bene che non si rendano conto della loro situazione, e non sviluppino alcun sentimento di invidia nei confronti delle classi privilegiate.

Nel romanzo, tra le altre cose, vengono descritti alcuni dei metodi con cui i bambini delta vengono condizionati affinché sviluppino determinate inclinazioni e delle particolari predilezioni.
Ad esempio, nei primi mesi di età, vengono posti di fronte a dei libri e a dei fiori, ed ogni volta che li toccano vengono investi da una scossa elettrica.
Il regime infatti ritiene sconveniente che i bambini sviluppino interesse per la lettura, dal momento che l’ignoranza è essenziale per mantenere la popolazione sotto controllo; allo stesso modo viene osteggiato un eccessivo amore verso la natura, poiché i cittadini che amano trascorrere il loro tempo all’aria aperta non spendono e non stimolano l’economia.
Huxley, nell’immaginare il condizionamento violento per mezzo delle scosse elettriche, si rifà evidentemente ai celebri studi del dottor Ivan Pavlov.

Ivan Pavlov, come è noto, mentre svolgeva degli esperimenti con l’aiuto di un cane aveva osservato come la salivazione dell’animale aumentasse alla vista del cibo, come normalmente ci si poteva aspettare.
Il cibo in questo caso venne chiamato stimolo incondizionato, e la salivazione del cane riflesso incondizionato.
Nel proseguire con l’esperimento, Pavlov iniziò a suonare un campanellino ogni volta che portava del cibo al suo cane, finché l’animale associò la presenza del cibo con il suono.
In seguito, Pavlov scoprì che il suono del campanellino, da solo, era sufficiente per innestare la salivazione del cane, anche senza la presenza del cibo.
Il suono del campanello divenne lo stimolo condizionato, mentre la salivazione indotta da questo suono, e non dal cibo, venne detta riflesso condizionato.

E’ utile qui notare che la salivazione non è una operazione controllata dalla parte razionale della mente, ma si tratta invece di un processo inconscio che si verifica a prescindere dalla volontà dell’individuo, negli animali così come nell’uomo.
L’esperimento di Pavlov, di conseguenza, registrò in maniera “scientifica” una delle caratteristiche principali del mondo animale, uomo incluso, ovvero la capacità della componente inconscia di elaborare i dati del mondo esterno per “associazione”.

Il meccanismo dell’associazione

Tutti gli esseri umani sperimentano inconsciamente il meccanismo dell’associazione nella loro vita quotidiana.
Quando ad esempio associamo un profumo particolare ad una persona a noi cara, ed in seguito il solo odorare quel profumo ci provoca sentimenti positivi.
Oppure nell’istintiva repulsione che proviamo nei confronti della sveglia che interrompe il nostro sonno ogni mattino, anche quando è silenziosa, così come nella gioia provata nell’osservare un particolare oggetto, insignificante per gli altri, che abbiamo associato con un momento carico di sensazioni.
E’ importante sottolineare che il processo dell’associazione avviene in maniera del tutto inconscia, ed agisce ad un livello molto più profondo dell’attenzione razionale.

Occorre ricordare anche che l’apparenza, ovvero il modo in cui la realtà si mostra, gioca un ruolo molto più importante di quanto siamo portati a credere
per quanto riguarda la nostra capacità di analizzare il mondo circostante,
Quando ad esempio incontriamo una persona, prima di parlarle e conoscerla la nostra parte inconscia ha già elaborato una sua precisa opinione, sempre attraverso il meccanismo della associazione, e la nostra parte razionale ed analitica interviene solamente in un secondo momento; se la prima impressione è negativa, dovrà passare molto tempo prima che il “parere” espresso dalla parte razionale possa mutarla, mentre se il primo giudizio è positivo, per lungo tempo i segnali negativi verranno accantonati e sminuiti dalla parte razionale.
Questa sorte di giudizio non ha nulla a che fare con l’intelligenza di una persona o la sua “apertura mentale”, tipica di chi è convinto di non giudicare mai dall’apparenza, proprio perché riguarda la nostra parte inconscia ed istintiva.
Un esempio aiuterà a comprendere meglio questi meccanismi: una conoscente, persona istruita ed amabile, trovava insopportabile la vista di un certo telecronista sportivo, giudicandolo persona estremamente antipatica ed irritante, senza che il comportamento del giornalista avesse mai dato adito a questo giudizio.
Un giorno, rivedendo le immagini di una tragedia successa molti anni addietro in una partita di calcio, la conoscente riconobbe la voce del telecronista, e si rese conto che la sua avversione nei suoi confronti era provocata dal fatto che aveva associato la sua voce alle tragiche immagini che da bambina aveva osservato alla televisione.

Rifacendoci alla terminologia utilizzata da Ivan Pavlov, possiamo affermare che in questo caso la tragedia è lo stimolo incondizionato (quello che per il cane era la visione del cibo), la voce del telecronista è lo stimolo condizionato (il suono del campanellino), e il sentimento di repulsione all’udire il giornalista è il riflesso condizionato.
Ovviamente, questo processo psicologico non rappresenta una scoperta di Pavlov, ma a lui va il merito di averlo dimostrato “scientificamente”, ovvero secondo i parametri della ricerca moderna.

L’apporto della psicanalisi, da Freud a Le Bon

Pochi anni prima di Pavlov, un’altra disciplina propriamente moderna, ovvero la psicanalisi, sulla cui qualità scientifica è lecito dubitare, tentò di studiare le modalità attraverso le quali funzionava la psiche degli esseri umani, ponendo l’attenzione su quella sua componente che da allora venne chiamata “inconscio”.
L’idea di fondo di tale disciplina sosteneva che la maggior parte dei problemi psicologici delle persone era originata da traumi irrisolti, vissuti dall’individuo e rimossi dalla componente cosciente della psiche, ma ancora presenti a livello inconscio.
Si pensava che aiutando il paziente nel ricordare e “far riemergere” il trauma si potesse dargli la possibilità di affrontarlo e risolverlo definitivamente.
L’opera di Sigmund Freud e del suo allievo dissidente Jung ebbe un enorme diffusione nel XX secolo, ed influenzò in maniera decisiva il pensiero e l’immaginario collettivo.

La psicanalisi gode tuttora di enorme popolarità, e gode anche dello status di “disciplina scientifica”, nonostante molti si dichiarino scettici riguardo la sua reale efficacia.
Ma se l’aspetto curativo di questa scienza suscitò sin dalla sua nascita enormi perplessità, ad una parte dell’apparato teorico della psicanalisi venne invece riservata una grande attenzione da persone che occupavano posizioni di grandi responsabilità, persone che avevano interesse nel comprendere come effettivamente la psiche e la mente umana funzionano.
Fu questo il caso di Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, uno dei pensatori che maggiormente contribuì a plasmare la mentalità dell’uomo contemporaneo.

Bernays, rifacendosi all’opera di Freud e di Gustave Le Bon, un altro studioso che diede un enorme apporto alla comprensione di questi meccanismi, operò affinché tali studi potessero trovare una applicazione pratica su vasta scala.
Occorre quindi, prima di procedere con l’analisi dell’opera di Bernays, ricordare la grande importanza, ancora troppo poco nota, che ebbero le ricerche dello psicologo Gustave le Bon, che nel 1895 diede alle stampe il fondamentale Psicologia delle folle.
In tale scritto, Le Bon analizzava il comportamento sviluppato dalle persone nel momento in cui formano dei gruppi più o meno numerosi, arrivando a sostenere che all’interno di una folla emerge e prende il soppravvento una sorta di “coscienza collettiva” indipendente da quella dei singoli che la compongono, una coscienza che risponde a dettami “inconsci”, sentimenti che possono essere abilmente guidati da personalità carismatiche che sono in grado di comunicare direttamente con questa enorme “coscienza”.
L’opera di Le Bon venne attentamente studiata dai maggiori dittatori del XX secolo: Mussolini riteneva “psicologia delle folle” un testo imprescindibile per un leader di governo, così come Hitler e Stalin.

Edward Bernays, quindi, dopo aver a studiato i testi di Freud e di Le Bon, sul finire dell’ottocento si trasferì in America e si dedicò al perfezionamento della scienza della persuasione nota come propaganda.

Edward Bernays, dal razionale all’inconscio

Quelli che manipolano il meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere che controlla. Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare. Questo è il logico risultato del modo in cui la nostra società democratica è organizzata. Un vasto numero di esseri umani deve cooperare in questa maniera se si vuole vivere insieme come società che funziona in modo tranquillo. In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico o negli affari o nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero morale, siamo dominati da un relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente delle persone ...Coloro che hanno in mano questo meccanismo, costituiscono il vero potere esecutivo del paese.”
Edward Bernays, Propaganda, 1929

Bernays lavorò per il governo americano e per l’apparato industriale, e nel campo della propaganda e della pubblicità ottenne i suoi più grandi successi, perfezionando quel particolare meccanismo tuttora usato dai creatori d’opinione.
Prima di Bernays, la pubblicità si concentrava nell’elencare le qualità e i benefici dei prodotti reclamizzati: di una bibita si diceva che fosse dissetante, di un abito che era resistente, di un particolare attrezzo si elencavano i modi d’uso, e così via.
Ci si rivolgeva, in altre parole, alla parte razionale, cosciente, della mente del consumatore.
Edward Bernays rivoluzionò questo meccanismo, e comprese che un prodotto avrebbe potuto essere maggiormente venduto se si rendeva appetibile al consumatore rivolgendosi alla sua parte “inconscia”.

Il prodotto quindi non doveva essere presentato per le sue intrinseche qualità, ma doveva essere proposto in associazione con un sentimento positivo, con una promessa di felicità, con uno stile di vita agognato.
Nel pubblicizzare un biscotto non bisognava soffermarsi sulla sua bontà o sulle sue qualità nutritive, ma occorreva mostrare una famiglia felice in una bella casa che con quel biscotto prendeva la sua prima colazione.
Di una automobile non si doveva fare una lista delle sue prestazioni, ma ritrarla in un paesaggio aperto e solare che suggerisse un senso di libertà.
Bernays, in altre parole, non fece altro che unire gli studi di Freud e di Le Bon con le scoperte del professor Ivan Pavlov a proposito dei riflessi condizionati.

Così come il cane del professore sbavava all’udire il suono del campanellino, associato inconsciamente al cibo, il nuovo consumatore venne abituato ad associare ai prodotti reclamizzati un determinato sentimento.
Nella pubblicità del biscotto, ad esempio, viene mostrata una famiglia felice, in una bella casa.
Per il consumatore tale condizione, la felicità, è l’equivalente di quello che per il cane di Pavlov era il cibo, lo stimolo incondizionato, ovvero il suo bisogno primario.
Il biscotto, associato all’immagine della felicità, è lo stimolo condizionato, quello che per il cane era il suono del campanellino.

Quando poi il consumatore al momento di fare la spesa si troverà di fronte a quel particolare biscotto, entrerà in funzione il meccanismo di associazione, inconsciamente, e sarà portato a scegliere quel prodotto - riflesso condizionato - nello stesso modo in cui la salivazione del cane aumentava al suono del campanellino.

E’ essenziale notare ancora una volta come su tale processo non influiscono le qualità intellettive del consumatore, dal momento che il tutto avviene a livello inconscio.
L’associazione biscotto-felicità è ormai acquisita.

Associazione e ripetizione: la creazione del bisogno

Il successo, indiscutibile, di tale meccanismo, è testimoniato dal fatto che ancora oggi le strategie promozionali ricalcano esattamente le modalità teorizzate da Edward Bernays: le pubblicità attualmente puntano inevitabilmente su concetti semplici che richiamano i bisogni primari di ogni persona: il successo, il senso di libertà, il sesso.
Per reclamizzare una pasta sigillante si mostra una ragazza nuda, un assorbente è associato ad una giovane donna che si lancia col paracadute, le macchine percorrono paesaggi suggestivi oppure si muovono eteree in paesaggi urbani “addomesticati”, mentre gli spaghetti sono sempre accompagnati da famiglie impeccabili e sorridenti che si amano, famiglie perfette.

Quando poi il consumatore si reca nel supermercato e si trova davanti a quel sigillante, ecco che dentro di sé prova una strana sensazione piacevole, senza rendersi conto che la sua psiche nello stesso momento sta immaginando una bella donna nuda immersa in una vasca trasparente.

Tutto questo, però, non sarebbe possibile senza la presenza di un altro fattore, egualmente importante e necessario: la ripetizione.
Nella pubblicità, come nella propaganda, il messaggio va ripetuto più e più volte, perché, ed anche questo è ormai provato, la mente umana tende a considerare veritiere le informazioni ricevute più volte in diverse condizioni.
All’ennesima ripetizione di un concetto, quest’ultimo sarà considerato vero in maniera automatica, e ciò è valido sia sul piano cosciente che a livello inconscio.

Associazione, appello ai bisogni primari, ripetizione: questi, in sintesi, i fondamenti della manipolazione del pensiero.

martedì 25 maggio 2010

Presagio di grandi catastrofi

AUTORE: Míkis THEODORÁKIS Μίκης ΘΕΟΔΩΡΑΚΗΣ

Tradotto da Curzio Bettio


Con il buon senso di cui dispongo, non posso spiegarmi e ancor meno giustificare la rapidità con cui il nostro paese è precipitato rispetto ai livelli del 2009, al punto tale che noi stiamo perdendo una parte della nostra sovranità nazionale a vantaggio del Fondo Monetario Internazionale FMI e veniamo posti sotto tutela.

Ed è strano che nessuno, fino a questo momento, non abbia fatto la cosa più semplice, vale a dire, risalire il corso della nostra economia a partire da quel periodo ad oggi, con fatti e cifre, in modo che noi, i non iniziati, abbiamo la possibilità di comprendere le effettive ragioni di questa evoluzione vertiginosa e senza precedenti degli accadimenti che hanno determinato la perdita della nostra indipendenza nazionale, accompagnata dall’umiliazione internazionale che dobbiamo subire.

Ho sentito parlare di un debito di 360 miliardi, ma nello stesso tempo vedo che molti altri paesi hanno debiti simili a questo, se non ancora più grandi.

Dunque, non può essere questa la ragione principale delle nostre disgrazie. Quello che allo stesso modo mi disturba è l’elemento di esagerazione nei colpi assestati al nostro paese a livello internazionale; che una azione di tale misura sia stata concertata in modo così palese contro un paese finanziariamente insignificante, questo desta sospetti.

Per questo, sono pervenuto alla conclusione che certi personaggi ci riversano addosso vergogna e paura, in modo da gettarci nelle spire del FMI, che costituisce un fattore fondamentale della politica espansionistica degli Stati Uniti.

Tutti i discorsi sulla solidarietà europea non sono stati che polvere negli occhi, in modo da dissimulare il fatto che si tratta chiaramente di una iniziativa usamericana, che mira a farci piombare in una crisi finanziaria largamente artificiosa, con lo scopo di far vivere il nostro popolo nella paura, di renderlo ancora più povero, di sottrargli realizzazioni e conquiste preziose e alla fine di metterlo in ginocchio, consenziente perché costretto ad essere dominato dagli stranieri.

Ma a chi serve tutto questo? Quali sono i progetti da realizzare, quali sono gli obiettivi da conseguire?

Benché sia sempre stato, e che lo sia ancora, partigiano dell’amicizia greco-turca, devo dire nondimeno di essere preoccupato per il rafforzamento improvviso delle relazioni fra i nostri due governi, per le riunioni dei ministri e di altri funzionari, per i movimenti a Cipro e la visita di M. Erdogan. Io sospetto che dietro a tutto questo si celino la politica degli Stati Uniti e i loro progetti, che destano sospetti, relativi alla nostra posizione geografica, all’esistenza di giacimenti sottomarini, al regime di Cipro e al mare Egeo, ai nostri confinanti del Nord e al comportamento arrogante della Turchia; piani che fino a questo momento sono andati a vuoto solamente per la diffidenza e l’opposizione del popolo greco.

Attorno a noi, tutti, chi più chi meno, sono saliti sul carro in movimento degli Stati Uniti. Noi soli abbiamo rappresentato l’unica nota stonata, noi che, dall’insediamento della giunta militare e dalla perdita del 40% di Cipro fino all’abbraccio con Skopje (ARYM – ex Repubblica jugoslava di Macedonia) e con gli ultranazionalisti albanesi, abbiamo ricevuto bastonate di continuo, ma non siamo ancora divenuti “ragionevoli”.

Di conseguenza, come popolo, dobbiamo essere sottomessi, e questo è esattamente quello che sta arrivando oggi. Io sfido gli economisti, i politici e gli analisti a provarmi il contrario. Io credo che non ci sia spiegazione plausibile, altro che quella di un complotto internazionale, con la partecipazione degli Europei filo-statunitensi, come la signora Merkel, la Banca Centrale europea e la stampa reazionaria internazionale, che hanno progettato il loro “gran colpo”, in modo da ridurre una nazione libera in schiavitù. Quanto meno, personalmente, non posso trovare proprio un’altra spiegazione. Comunque, io riconosco che non sono in possesso di conoscenze specifiche e che le mie parole poggiano solo sul buon senso. Ma potrebbe darsi che ci siano tante altre persone che sono pervenute alla medesima conclusione – e questo lo vedremo nei giorni a venire.

In ogni caso, resto fermo nel preparare l’opinione pubblica e a sottolineare che, se la mia analisi è giusta, allora la crisi finanziaria (la quale, come ho già affermato, ci è stata imposta) non è altro che la prima bibita amara nella festa sontuosa che si sta preparando e che questa volta riguarderà questioni nazionali tanto vitali che non desidero proprio immaginare dove questo ci condurrà.

http://resaltomag.blogspot.com/2010/04/blog-post_27.html


domenica 28 febbraio 2010

Grecia: prove generali dell'Europa

Valerio Lo Monaco
ilribelle.com

Quanto accaduto alcuni giorni addietro in Grecia, ovvero lo sciopero generale per protestare contro le misure eccezionali prese dal governo Papandreou per ridurre le spese, che ha visto in piazza centinaia di migliaia di persone, con diversi e accesi scontri con le forze dell'ordine, merita una attenzione particolare. Certamente più profonda di quella riservata all'evento dai media nostrani e internazionali che, nella migliore delle ipotesi, si sono accontentati di raccontare brevi cenni di cronaca. Quanto avvenuto è infatti paradigmatico di una situazione generale, oltre alla evidente contingenza locale della Grecia. Di più: i fatti di Atene rappresentano le prove generali di quanto, con molta probabilità, sta per accadere a larga parte d'Europa - Italia inclusa - e in modo più esteso è la diretta conseguenza di quanto, da decenni, sta covando di fatto in tutto il mondo.

La riflessione "bucata" dalla quasi totalità di stampa e televisioni - nonché da larga parte dei sedicenti intellettuali da salotto - riguarda infatti l'aspetto generale, e dunque esistenziale, comune alla società nel suo complesso.

La cronaca e le motivazioni della protesta sono note e semplici da rammentare: larghissima parte della popolazione greca protesta contro il governo locale per i fortissimi tagli imposti dallo stesso alle finanze dello Stato e dunque a tutti i cittadini. Tra le altre cose, si tratta di congelamento dei salari e soprattutto di inevitabili e drastiche riduzioni dei servizi.

Solo di passaggio, vale bene rammentare che l'attuale governo greco è considerato "socialista", e per chi abbia memoria storica di tale termine - al di là del fatto che oggi si dichiarano socialiste, nel mondo, anche tante forze che di interessi sociali hanno poco o nulla - rimane comunque, se non altro dal punto di vista terminologico, l'evidenza della contraddizione.

Il punto è che i tagli operati in Grecia provengono da ferree direttive europee: in ordine agli aiuti che l'Europa darà alla Grecia per superare (almeno così si spera...) l'attuale momento di grave crisi, si chiede, cioè, si impone, al governo greco di operare dei tagli a colpi di mannaia sulle spese pubbliche. Non fosse che, queste spese pubbliche tagliate, sono esattamente quelle di stampo sociale che vanno a colpire, pertanto, proprio la popolazione.

Gli striscioni in testa ai vari cortei sono a senso unico e fanno capire immediatamente la natura della protesta: "noi (cittadini) non vogliamo pagare per una crisi che non abbiamo causato".

Inutile insistere sul messaggio: è chiaro. E sacrosanto. In Grecia sta avvenendo né più né meno che quanto è nell'ordine delle cose (e su queste pagine lo abbiamo anticipato in tempi non sospetti): la crisi economica globale, generata in primis dal fallimentare stesso sistema economico alla base delle nostre società, e portato alle estreme conseguenze dalla ingordigia della finanza, sarà pagata direttamente da chi non ha colpa alcuna. Fatta eccezione, naturalmente - e se di colpa possiamo parlare - il fatto che oggi, in vasta parte del mondo, c'è ancora chi non riesce a mettere a fuoco il punto principale del nostro sistema di sviluppo, pende dalla labbra di chi perdura a sostenerlo (di una parte o dell'altra) e non riesce a fare il passo successivo che vuole in una critica radicale del modello stesso (e dei suoi rappresentanti politici, di una parte o dell'altra) il punto principale di protesta.

Per essere chiari e rimanendo nell'ambito greco: se anche cadesse Papandreou, e arrivasse a governare una forza politica opposta - ma interna alla stessa logica sistemica - i tagli che la Grecia dovrebbe operare sarebbero i medesimi. La politica interna degli stati europei non è appannaggio locale, statale, ma centrale. Diretta conseguenza di decisioni prese altrove. E si tratta di decisioni prettamente economiche, non politiche. Attinenti dunque all'aspetto materiale, non relativo "al" politico. Diretta espressione, pertanto, di volontà meramente economiche, come Banche & Co., che nella loro logica non hanno il buon governo e la buona politica - dunque il benessere dei cittadini in senso lato - ma il profitto. Privato, of course, a spese di stati e cittadini.

Perché se è vero - ed è vero - che l'ingresso della Grecia in area Euro è avvenuto grazie a brogli finanziari (per truccare i conti) operati mediante l'intervento - interessato - di grandi banche come la Goldman Sachs (nessun media ne parla, avete visto?), e se è vero - ed è vero - che le stesse grandi banche stanno oggi speculando sulla crisi greca scommettendo sul suo default grazie al mercato dei Credit Default Swap che ha ripreso a galoppare alla grande malgrado la bolla del 2007 e del 2008, è evidente che il governo del singolo Stato (in questo caso quello greco) conti poco o nulla in merito a quanto sta accadendo. Non può che fare ciò che gli chiede l'Europa (espressione prettamente economica e affaristica) e non può che sottomettersi agli attacchi finanziari delle grandi banche.

Dal punto di vista esistenziale - e chiudiamo la breve riflessione lasciando al mensile lo spazio per una analisi dettagliata - cosa sta avvenendo in Grecia è la prova generale di quanto accadrà fatalmente a diversi altri stati europei e, più in generale, di quanto accadrà tra il piccolo e ricco Nord del mondo, opulento, economicamente straricco e in grado di indirizzare la società, e il Sud diffuso, composto da chi al gioco della competizione ha perso inesorabilmente, è sfruttato da decenni se non centinaia di anni, e chi fino a poco tempo fa poteva avere il miraggio di rappresentare la fascia media, ma ora sta scivolando rapidamente nel Sud stesso.

Brutalmente: dividendi privati e socializzazione della crisi. A vincere sono sempre le Banche e a perdere sono i cittadini. Le proteste non sono solo giustificate, ma aumenteranno.


domenica 20 settembre 2009

PERCHÉ ATLANTIDE È REALTÀ, NON FANTASIA

Un'analisi testuale classicistica della descrizione platonica.
il parere di Enrico Turolla
Nell’immediato dopoguerra (1947) la Casa Editrice Garzanti di Milano, nella sua serie "Classici Greci", propose ai lettori italiani il volume "L’ATLANTIDE di Platone: letture scelte dal Timeo e dal Crizia" interpretate e commentate a cura dell’autorevole classicista italiano Enrico Turolla. In tal modo, dopo gli sconvolgimenti della Seconda Guerra Mondiale, la questione del continente sommerso veniva autorevolmente rilanciata in Italia in libreria riproponendo le sue fonti tradizionali. Di tale testo antologico ragionato dei testi platonici relativi al mitico continente-isola primevo sottoponiamo qui ai lettori la prefazione firmata dal suddetto curatore del volume, specchio di una convinzione, quella di non pochi autori italiani dell’epoca, che non ha perso minimamente la propria validità.

La serie dei dialoghi platonici si svolge dagli anni primi della vita del Maestro ininterrotta sino agli anni postremi della gloriosa esistenza. "Scribens", si potrebbe ripetere anche pel Maestro ateniese, "Plato mortuus est". E la conclusione di questa sublime sequenza di opere è, ci si conceda il termine, "bicipite".
Spieghiamo.
Bicipite, con due capi cioè. E questi ; due capi sono rappresentati dal gruppo "Leggi Epinomis" da una parte; dal gruppo "Timeo", "Crizia", "Ermocrate", dall’altra. E intendiamo che a noi sarebbe lecito porre la parola fine sia dopo l’una che dopo l’altra serie di opere, mediate, l’una e l’altra, da un’unica istanza speculativa: la progressiva penetrazione del bene nel regno del divenire; penetrazione che avviene nel mondo istorico e di cui Platone attende l’attuazione e si fa di essa aiutatore e cooperatore. Ecco, lo sforzo eroico di dare una costituzione per la Città attesa. Tutto ciò perseguono i dodici libri del grande dialogo e la breve "Appendice alle Leggi o Deuteronomio", come si può interpretare la parola greca "Epinomis". Invece la penetrazione del bene nel mondo naturale è delineata nel Timeo e nel mondo della istoria pure (Crizia) ma non più in un’attesa futura, bensì nella istoria pristina dell’umanità, remota così, che ogni traccia di quell’organizzazione ora è cancellata.
I due gruppi inoltre presentano ancora caratteri comuni di non completa consumazione formale, ché nelle "Leggi", è notizia giuntaci dai tempi antichi, l’opera finale di revisione non è stata compiuta; nel "Timeo" e nel "Crizia", l’opera di revisione è perfetta indubbiamente ma il "Crizia" è interrotto e l’"Ermocrate", che doveva consumare la trilogia atlantica, non è mai stato scritto. Onde la trilogia si chiama anche opportunamente "trilogia incompiuta".
Lasciamo ora da parte il capo delle "Leggi" e della sua appendice, cronologicamente con piena probabilità posteriore all’altro. Nella "trilogia incompiuta", dunque, oltre a delineare il momento demiurgico della Creazione, Platone, quasi fin dalle prime parole del "Timeo", anteponendo insomma e anticipando, per evidenti ragioni costruttive, inserisce un accenno abbastanza diffuso a quello che sarà l’argomento del secondo dialogo, la descrizione cioè della Città giusta quale era stata all’origine dei tempi; inserisce, più esattamente, l’indicazione delle fonti che gli hanno concesso di figgere lo sguardo in un’antichità così remota. Indicate le fonti l’argomento devia e si rivolge a perseguire la Creazione, cioè l'episodio primo di questo sublime dramma. Il "Crizia" poi, episodio secondo, ci introduce definitivamente nel regno della istoria umana. E ciò che Platone ci narra, adoperando la sua terminologia, è mito, è racconto; non è dialettica, indagine, non esplorazione nel regno ulteriore dell’invisibile essere, come del resto nemmeno era dialettica l’indagine delle "Leggi" e della sua "Appendice". Platone interrompe insomma il suo parlare non in regno di dialettica, bensì in regno mitico. Tale è appunto nella sua totalità il "Crizia".
Terminare con un mito vuol dire, terminare nel mistero. E "mistero" pare a noi parola suscettiva d’interpretare e spiegare vera mente cosa sia il mito platonico. Racconto certamente; non tuttavia racconto di comuni eventi. Sono miti per esempio taluni racconti che perseguono eventi della storia ulteriore, la storia cioè dell’uomo dopo la morte; ci sono miti per la storia anteriore, la storia dell’uomo prima della nascita. Comune, negli uni e negli altri, l’accento di rinuncia ad un’affermazione di scienza e l’adozione d’una conclusione probabile. Scienza, sempre, non nel senso avvilito moderno (scienza naturale in tutte le sue sfumature: fisica, chimica, astronomia ecc.) ma nel senso eroico eleatico-platonico-aristotelico. Scienza dell’essere; scienza a priori, scienza del necessario; scienza metafisica. Non dunque conclusioni certe in questi miti, che rivolgendosi essi alla vita, sia pure in condizioni diverse dalla vita corporea, vengono pur sempre ad indagare le cause seconde delle quali esiste soltanto una scienza relativa; annubilata, probabile insomma. Tuttavia, mentre per l’indagine naturalistica del "Timeo" può soccorrere il metodo deduttivo, onde il "Timeo" è pur sempre un’indagine a carattere scientifico; più esattamente doxastico; questo aiuto viene in conclusione a mancare, quando s’avanzano i problemi dell’al di là.
Sara muto allora il nostro dire? Sarà cieca la visione?
No, certo, per Platone erede della dottrina tradizionale e simbolica di Pitagora. Qui è uno degli accenti più squisitamente originali e profondi della speculazione platonica. Ma di questo aspetto del mito-mistero non è qui il luogo di trattare. Qui intendiamo pervenire al mito-mistero del "Timeo" e del "Crizia"; questo mito ha carattere particolare sul quale e necessario far luce.
Mito-mistero quello della trilogia incompiuta, e tale, vorremmo dire, per ragioni estrinseche. La sede ove esso va ragionando non è posta al di là della vita e al di là della storia; l’argomento suo è nella storia stessa.
Soltanto i secoli, in rapporto alla comune durata di vita mortale, innumeri sono trascorsi e separano il nostro oggi da quelle remotissime età. In mezzo, fra noi e gli uomini che come per miracoloso gioco di luci vengono rievocati nella pagina del Maestro, vi è il silenzio di cose inesorabilmente cancellate, cose fatte nulla in oblio. Ebbene, oltre il compatto muro; oltre il grande deserto dei novanta secoli (tanti erano ai tempi di Platone; ora si tratta di cento secoli e dieci) dei quali per la massima parte più nulla sappiamo; ebbene, oltre, e quasi dal principio dell’umana istoria, giungono a noi voci, nomi, un sonito di gesta, un fragore di armi.
Come per nuova televisione, vediamo ancora profili di monti, selve, canali; palazzi, templi, castelli; e la forma d’isole e la forma d’un continente. Di tutto ciò nulla vi è più; il mare ha invaso; il mare ha distrutto; il diluvio ha annientato. Ma noi sappiamo di quelle isole il nome; anche dei re antichi sappiamo il nome. Quelle isole costituivano l’Atlantide e la famiglia dei re n’era sovrana. Questo è il mito dell’Atlantide, il racconto della Atlantide diremo noi traducendo alla lettera e sacrificando lo spirito; il mistero dell’Atlantide diremo con altra parola che rievoca in noi ciò che Platone voleva significare con la sua parola nella sua lingua.
È vero ciò che Platone narra? Questa, la domanda di chiunque s’avvicina al racconto Atlantico. È vero?
È fantasia? Platone s’allontana da noi per il transito supremo e non si cura d’aggiungere nulla, anzi il suo racconto resta per sempre spezzato: "Si raccolse dunque Zeus e prese la parola…". Cosi termina il "Crizia". E quale sia stata questa parola non sapremo mai. È vero? È fantasia? insiste la domanda inquieta.
Ed è appunto questo proporsi d’un interesse vivo, d’una viva partecipazione dello spirito nostro; d’una, diciamo la parola che piace a Platone, fascinazione o incantamento; è appunto tutto ciò che Platone con sapiente gioco di prospettive ha saputo creare; ciò il Maestro voleva. E in ciò è l’essenza stessa del mistero.
Certo, chi arriva alla "trilogia incompiuta", dopo aver percorso l’intero cammino dei dialoghi, costui. vede che a ben altre affermazioni, a ben altre potenti conclusioni Platone ha abituato l’anima sua. Ma costui vede anche che, se quelle potenti sono in pieno fulgore, qui, nel mito Atlantico, parola disputante (Platone dice "logos") si atteggia in penombre, qui si accentua la voce della probabilità ove prima era la certezza: l’essenza del mistero appunto con tutte le sue caratteristiche. Tutto ciò che noi possiamo chiedere, tutto ciò che possiamo trovare è un convergere di piani, un accennare di linee, una direzione insomma; ma la certezza, forse mai. È vero? È fantasia? Le stesse indagini recenti portano ad un grado assai elevato, quasi definitivo, gli elementi della certezza. La prova tuttavia, come dicono, palmare; il "non credo se non metto le mani"; la prova sperimentale non c’è, e forse non sarà mai. È stato tuttavia detto dal Maestro vero, un altro maestri di cui Platone può dirsi certamente figura; "beati qui non viderunt, et crediderunt".
E ciò, a proposito d’una vicenda in cui parimenti si desideravano prove evidenti, si desiderava di toccar con mano, si cercavano tutti quei ripari e tutte quelle precauzioni con cui intendono munirsi quelli che si chiamano comunemente spiriti forti, spiriti positivi; gli spiriti delle ragioni solide. "Beati qui non viderunt et crediderunt".
È vero? È fantasia? È indubitabile in ogni caso l’apporto d’una sintesi; indubitabile l’apporto di particolari singoli che Platone ha liberamente aggiunto. Chi legge con attenzione e questa lettura più d’una volta ripete, finisce per accorgersi dell’esistenza di due nuclei differenti per natura. Vi è un nucleo che ha un aspetto descrittivo, quasi un testo di geografia che riferisce caratteristiche singole d’una determinata regione. Buona parte del "Crizia" appartiene a questo nucleo e ad esso appartengono anche le pagine del "Timeo". Che danno indicazioni precise circa la fonte e anticipano poi le prime notizie sull’isola o sul sistema di isole che formavano l’Atlantide, con una esattezza e con una precisione di termini tale che soltanto ai nostri giorni, dopo la scoperta dell’America, può esser convenientemente apprezzata. Certissimamente nessuno dei contemporanei di Platone (vorremmo dire: nemmeno Platone stesso che scriveva quelle parole), nessuno dei posteri Platone per molti secoli ha potuto apprezzare.
"In quei tempi lontani era possibile valicare quell’immenso mare (l’Atlantico) perché in esso era un’isola; e quest’isola innanzi stava a quel stretta foce che ha nome, come voi dite, Colonne d’Ercole. Ed era, quest’isola, più grande insieme della Libia e dell’Asia.
E chi procedeva da quella, si apriva il passaggio ad altre isole, da queste isole ad un 'grande continente' opposto, intorno a quel che veramente è mare. Le parti invece interne alla foce (il Mediterraneo) di cui parliamo, appaiono essere quasi un porto di cui sia stretta e angusta la via d’ingresso. Oh! ma quello sterminato mare a veramente mare, e la terra che lo ricinge, con tutta verità si potrà dir continente (1)".
Com’è facile accorgersi, ("il grande continente opposto") e l’America e ("quello che veramente a mare") e la parte restante dell’Atlantico dopo le isole Atlantidi vicine più all’Europa che all’America. E a parer nostro basterebbero queste poche righe per eliminare ogni possibilità di discussione. Qui non si tratta di fantasia; d’altra parte nessuno ai tempi di Platone poteva sapere ciò che qui e detto. Ma chi ha detto ciò a Platone? Ma lasciamo stare. Questo nucleo descrittivo-geografico forniva dunque a Platone un assieme non omogeneo di notizie; un seguito di dati interessanti che tuttavia, per essere introdotti nel dialogo, dovevano esser sottoposti ad unificazione. Osserviamo di passaggio, che scopo avrebbero, se puro gioco di fantasia, taluni particolari cosi precisi? I canali concentrici (2), il sistema di canalizzazione, il rito del sangue? Altri particolari minuti, inutili al tutto se non corrispondenti a verità? La scrittura presenta insomma. evidente questo nucleo descrittivo al quale si aggiunge (e qui e l’apporto personale di Platone) l’altro nucleo a carattere narrativo.
Una vicenda storica, nella quale si trovò impegnato quell’impero di cui vengono descritte le caratteristiche geografiche e politiche. Platone ha cercato di far diventare narrazione storica, quella che era descrizione geografica. E i dati della descrizione evidentemente gli erano forniti; a renderne possibile l’introduzione nel dialogo, Platone ha cercato d’accostare il motivo d’una narrazione storica: ecco il motivo della guerra degli Atlanti e della grandezza di un’Atene preistorica.
È avvenuto allora che questa parte che avrebbe dovuto avere importanza .massima è riuscita, generica e infusa di accenti particolari alla stessa speculazione dello scrittore (la descrizione d’Atene preistorica è parafrasi della "Politeia"); mentre l’altra è riuscita piena, viva, completa. Non solo ma, ancor di più, la parte storica non ha avuto sviluppo; essa è semplicemente enunciata; "compiuta infatti la descrizione dell’Atlantide, quando dovrebbe cominciare la narrazione della guerra il dialogo subitamente s’interrompe".
Pare a noi non si sia osservato abbastanza questo fatto.
Esso è una prova molto importante; esso ci rassicura di veridicità per il nucleo descrittivo. Platone ha si preparato il racconto delle guerra, ma ciò ha fatto fino al momento in cui c’era in lui viva l’attesa per esporre la parte proveniente dalla fonte sacerdotale egiziana.
Compiuta l’esposizione, il Maestro cui non potevano interessare vaghe fantasie ha troncato improvvisamente ogni cosa. Venuto insomma a mancare l’appoggio della fonte, svaniva, anche l’interesse e il dialogo e la trilogia stessa sono rimasti per: sempre incompiuti. D’altra parte ciò ch’era stato detto aveva la sua concretezza e la sua verità. Platone non solo non distrusse e frammento, ma lo corresse e lo portò a completa finitura. Il che se si osserva, non sarebbe avvenuto probabilmente, se avessero avuto importanza le sole ragioni che condussero Platone a trascurare l’ulteriore svolgersi della scrittura.

NOTE:
1. "Timeo", 24 e segg. Sarebbe da aggiungere anche l’accenno al mare dei Sargassi ("Crizia", 109a).
2. È notevole: gli storici della conquista spagnola descrivono la capitale degli Aztechi attorniata da canali e da bacini; ciò si vede dal disegno rimasto dai tempi dell’ultimo loro re. L’essenza in questi piani è un complesso intreccio d’acqua e terra in anelli concentrici.

giovedì 28 maggio 2009

Crizia: l'incompiuta di Platone?

Antonio USAI
archeomedia.net
Per anni gli storici moderni si sono scervellati nella ricerca del motivo per cui Platone non avesse terminato il "Crizia". Eppure leggendo "il Timeo" di Platone, si incappa in un passo nel quale è scritto da chi e il motivo per cui il "Crizia" non è stato portato a termine.

Infatti il cap. III del "Timeo" 21/22, parlando delle Apaturie, recita così: Ora uno della nostra tribù, sia che allora così pensasse, sia anche per compiacere a Crizia, disse che Solone gli sembrava essere stato non solo il più sapiente nelle altre cose, ma anche nella poesia il più nobile di tutti i poeti. Allora il vecchio, perchè lo ricordo bene, molto si rallegrò e sorridendo disse: Ma se egli, o Aminandro, non si fosse occupato superficialmente della poesia, ma seriamente, come altri, e avesse compiuta quella storia, che qui aveva portata dall' Egitto, e non fosse stato costretto a trascurarla per le sedizioni e gli altri mali, che trovò qui nel suo ritorno, né Esiodo, né Omero, né alcun altro poeta sarebbe stato, come io penso, più glorioso di lui. - E qual era - quello domandò - questa storia, o Crizia?-. La storia - rispose Crizia - dell'impresa più grande e più degna... ecc.ecc.

Questi passi del "Timeo" di Platone, fanno parte di uno dei vari "Timeo" che ho consultato, e tutti riportano questi passi:
- Bur:...e avesse completato il racconto che aveva portato qui dall'Egitto...
- Laterza, gia riportato sopra,
- Newton:...e avesse terminato quella storia che portò sin qui dall'Egitto.. -- e altri.

Quindi è stato il grande legislatore ateniese Solone a non terminare il racconto su Atlantide, e ne consegue che: come poteva Platone terminare il racconto di Solone, il quale per primo non l’aveva terminato?
Il motivo per il quale Solone non ha terminato il racconto: e non fosse stato costretto a trascurarla per le sedizioni e gli altri mali, che trovò qui nel suo ritorno,..

Ma nonostante ciò, alcuni studiosi affermano che, probabilmente, Platone si è inventato tutto per rappresentare la grandiosità di Atene, oppure che non ha completato il Crizia per dedicarsi alla stesura delle ”Leggi”.
Ma quest’ultima teoria si scontra con uno storico che sembrerebbe dire qualcosa di credibile: Plutarco (50 d.C. circa) che in “Vite parallele 1 Solone” parlando di Platone al 32.1 dice: Platone nell’ambizioso tentativo di trattare con ampiezza e abbellimenti l’argomento dell’Atlantide…. cominciò l’opera.… Senonché, avendo cominciato tardi a scrivere, terminò prima la vita che l’opera…
- Secondo Plutarco,quindi, Platone non termina il racconto perché muore. Però questo, a sua volta, contrasta con quanto afferma Aristotele, e cioè che l’ultima opera di Platone sono le “Leggi”. E Aristotele era un discepolo di Platone. Quindi Platone non può essere morto mentre scriveva il ”Crizia”. E non c’è neanche nessuno storico antico che sostenga che il “Crizia” sia stasto abbandonato per la stesura delle ”Leggi”. E su quanto afferma sempre Plutarco in ”Vite parallele” a proposito: dell’ambizioso tentativo (da parte sempre di Platone) di trattare con ampiezza e abbellimenti l’argomento dell’Atlantide (quindi inventando)…- sorgono 2 problemi:
1°: dove finirebbe il racconto incompiuto di Solone, e dove inizierebbe quello inventato da Platone?
2°: il passo di Plutarco, assieme alla teoria che il racconto sia tutto inventato, si scontra, a sua volta, contro quella corrente capeggiata da Crantore di Soli (IV sec. a.c. 1° commentatore del Timeo) che affermava la veridicità totale del racconto di Platone.

Inoltre se si accettasse, come motivo dell’inconpiuta, la morte, si potrebbe anche supporre che Platone sia morto non come dice Plutarco durante: l’ambizioso tentativo -, ma più semplicemente mentre riportava nei suoi scritti il racconto di Solone, che, per ironia della sorte, sarebbe rimasto, se fosse successo così, più incompleto dell’incompiuta stessa di Solone.

A meno che Platone non sia morto proprio sull’ultima parola del racconto di Solone. Ma non potrebbe essere, ancora più semplicemente, che Platone abbia lasciato il racconto incompiuto dove l’ha lasciato incompiuto Solone, senza aggiungere, ne omettere niente?
Non è poi così tanto strano. Accettando, invece, la teoria dell’invenzione del racconto e non terminato per dedicarsi alle “Leggi”, se vogliamo potremmo estrapolarne anche una storia con un risvolto buffo: Platone, intuendo che non sarebbe riuscito a terminare il racconto, si inventa il motivo dell’incompiuta del Crizia un libro prima, cioè nel Timeo, quando parla di Solone che non termina il racconto portato dall’Egitto.
Ne consegue che la colpa ricade su Solone.

Apro, ora, una parentesi per dire che c’è, a mio avviso, un indizio molto forte che scagiona Platone dall’accusa di aver inventato il racconto, ed è quando Crizia, nel Crizia, dice: …una pianura circondasse la città, e questa pianura di tremila stadi da una parte e di duemila dal mare fino al centro…. I monti che lo cingevano si diceva che superassero per numero, grandezza e bellezza tutti quelli ora esistenti (e qui fa anche capire che quell’isola c’è ancora, come scrive anche Vittorio Castellani; a mio avviso “sparisce sotto le acque” quell’isola formata dalle tre cinte di mare e due di terra)….lo rendeva diritto una fossa scavata all’intorno.
Non è credibile quel ch’è stato tramandato sulla profondità e larghezza e lunghezza di questa fossa,che cioè,come opera umana, avesse oltre al restante lavoro tali dimensioni; però bisogna dire quel che abbiamo udito.

Crizia non si meraviglia affatto delle misure enormi dei monti e della pianura, cioè di cose che fanno parte del paesaggio naturale (d'altronde lui mica li ha visti quei posti; quindi perché non crederci?), contesta solo le dimensioni enormi di quelle opere che avrebbe costruito l’uomo. E questo induce a pensare che quelle misure non si riferiscono all’unità di misura dei greci che era lo stadio (da 177 a 210 metri a secondo delle regioni), ma ad altre unità di misura. Quindi, per l’accusa, Platone, che era un filosofo, sarebbe stato così ingenuo da pensare che le persone avrebbero creduto ad un racconto del genere, con quelle dimensioni spropositate?

Oppure, peggio ancora, Platone avrebbe avuto una mente così contorta da “architettare” un racconto (vedere anche alcune righe più su quando scrivo di una storia con un risvolto buffo) in cui, per farlo credere veritiero, fa dire a Crizia, dopo averle scritte di proposito, che quelle opere con quelle dimensioni non sono credibili, in modo tale che le persone pensino quello che anch’io ho pensato, e cioè che quelle misure sono sballate, e di conseguenza anche tutte le dimensioni dell’isola non devono essere misurate in stadi ma in altre unità di misura? Platone ha fatto questo? Forse bisognerebbe rifletterci un po’ sù.

Chiusa la parentesi e tornando all’”incompiuta”, concludo dicendo che comunque girandola come si voglia, questa storia ha solo una e incontestabile certezza e cioè che l’unico vero artefice dell’incompiuta del racconto su Atlantide è stato il più saggio dei 7 sapienti di Atene: Solone. Che al povero Platone, sia resa un po’ di giustizia.

P.s.:

Platone-Crizia: .. e Poseidone, preso d’amore, giacque con essa: e per ben fortificare il colle, in cui quella abitava,lo spezzò d’ogni intorno, e vi pose alternativamente cinte minori e maggiori di mare e di terra, due ti terra e tre di mare, che quasi descrisse in cerchio dal centro dell’isola,…

Dal libro di Paolo Valente Poddighe “Atlantide Sardegna”: 53) Sira, era la proto Cagliari, ed era questa, come agglomerato Sacro, situato in una delle isole della laguna di Santa Gilla. È categorica per la localizzazione di Sira, l’incisione su rame risalente all’anno 1540, ove Sebastian Munster, ben addentro, del golfo di Cagliari la pone. La laguna aveva forma circolare, forma questa derivata sia dalla conformazione del suolo che dalle opere di steccati (a legname interposte) e da muraglie concentriche ad anello che, seguivano per tracciato, sponde contrarie artificiali e a poliedrico uso.

Nelle mie ricerche il nome Sira si trova in una cartina di un libro su Tolomeo e Munster (vedere cartine) e non è certamente la proto-Cagliari.
Era forse l’antica Neapolis? Oppure si trovava presso lo stagno di Cabras, nel golfo di Oristano? Se,come dice Poddighe (restìo a dare informazioni a riguardo), esiste questa incisione su rame con quella descrizione, sarebbe una semplice coincidenza? Platone è venuto in Sardegna prima di iniziare la stesura del Timeo e del Crizia? Oppure….

Libri consultati:
Platone Le opere ed. Newton, Roma, sett.2005;
Platone Opere complete 6 ed.Laterza Bari 2003;
Platone Timeo ed. Bur Milano 2003;
Plutarco Vite parallele 1 Solone e Publicola Torino nov.2005;
Varie enciclopedie
Atlantide Sardegna, Paolo Valente Poddighe, Stampacolor Industria Grafica, Muros (SS) Agosto 2006
Claudius Tolomeus, PTolomaus-Munster Geografia Basle 1540 Edizioni Sebastian Munster presso Biblioteca dell’Università area Umanistica di piazza d’Armi in Cagliari;
Quando il mare sommerse l’Europa di Vittorio Castellani ed. Ananke Torino 07/2005.

mercoledì 29 aprile 2009

Gli Stati Uniti promuovono l'Iran sul mercato dell'energia

AUTORE: M.K. BHADRAKUMAR

Tradutzioni dae Manuela Vittorelli



La scorsa settimana l'amministrazione Barack Obama ha fatto la sua prima mossa nella geopolitica dell'Eurasia con la nomina di Richard Morningstar a inviato speciale per l'energia eurasiatica. Il brillante e straordinariamente efficace diplomatico dell'amministrazione Bill Clinton torna dunque alla sua specialità.

Curiosamente, malgrado i consistenti legami con Big Oil, le prestazioni dell'amministrazione George G. Bush nella sfera della politica energetica sono state mediocri, e il russo Vladimir Putin ha battuto gli Stati Uniti nel Caspio. Adesso entra in scena Morningstar. Durante l'amministrazione Bush è stato consigliere speciale sull'ex Unione Sovietica del presidente e del segretario di stato, consulente speciale sulla diplomazia energetica nel bacino del Caspio e ambasciatore all'Unione Europea. Ha avuto un ruolo cruciale nella promozione – in condizioni di assoluta inferiorità – dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che emerge come una conquista duratura della diplomazia energetica degli Stati Uniti nel periodo post-sovietico.

Mosca dovrebbe prendere nota del rientro in campo di un formidabile avversario. Con quell'esperienza nell'Unione Europea e nella diplomazia energetica nel Caspio, la nomina di Morningstar significa che Washington intende fare un altro tentativo con il progetto del gasdotto Nabucco. Per agire con decisione e per mettere in moto il progetto bisogna procurarsi i finanziamenti, assicurarsi le necessarie forniture di gas, neutralizzare le contromosse russe e garantirsi il sostegno europeo. Il progetto Nabucco potrebbe riscrivere le relazioni tra la Russia e l'Unione Europea e consolidare la leadership transatlantica degli Stati Uniti. Il gasdotto lungo 3300 chilometri dal Caspio all'Austria attraverso la Turchia ridurrebbe la crescente dipendenza dell'Unione Europea dall'energia russa.

Nel 1998, in un importante discorso strategico, Morningstar disse: “L'obiettivo fondamentale della politica statunitense nel Caspio non è semplicemente quello di costruire gasdotti e oleodotti. Consiste piuttosto nell'usare quegli oleodotti e quei gasdotti, che devono essere validi sul piano commerciale, come strumenti per creare un quadro politico ed economico che rafforzi la cooperazione e la stabilità regionale e incoraggi le riforme per i prossimi decenni”.

Da allora la situazione è molto cambiata. Oggi la Russia sta risorgendo ed è molto diversa dal paese debole e traballante con cui aveva a che fare Morningstar negli anni Novanta. Neanche gli altri paesi produttori d'energia dello spazio post-sovietico – l'Azerbaigian, il Turkmenistan, il Kazakistan e l'Uzbekistan – possono più essere presi sottogamba. Sanno come funziona il mercato, sono abili nella negoziazione e non si fanno intimidire dalla diplomazia internazionale. La Cina è apparsa all'orizzonte come attore geopolitico dagli istinti assassini e dagli impareggiabili muscoli finanziari. Anche l'Iran si appresta a scendere in campo, e la Turchia non segue più docilmente i desideri americani.

Grandi potenze europee come la Germania, l'Italia, i Paesi Bassi e l'Austria hanno estesi legami energetici con la Russia e sono poco inclini a veder tracciare linee di divisione tra Occidente e Oriente. Purtroppo c'è una totale disunione nei tentativi di formulare la politica estera europea. I paesi membri non confidano nella capacità dell'Unione Europea di proteggere i loro interessi e preferiscono invece iniziative nazionali bilaterali su questioni di sicurezza energetica. La crisi finanziaria ed economica scoraggia progetti dalla lunga gestazione e che necessitano di pesanti investimenti.

Inoltre Nabucco pone dei problemi. Come gasdotto che punta a trasportare il gas del Caspio verso l'Europa meridionale deve affrontare la forte rivalità del progetto South Stream voluto dalla Russia. Questa rivalità si è vista a Sofia, in Bulgaria, alla conferenza sul “Gas naturale per l'Europa” di venerdì, alla quale hanno presenziato 28 paesi europei, caspici e centro-asiatici, nonché Morningstar. La conferenza ha accuratamente evitato di appoggiare l'uno o l'altro progetto.

Inoltre c'è una triplice divisione tra i paesi europei riguardo a Nabucco. Né la Germania né l'Italia – che si sono assicurate rapporti energetici bilaterali con la Russia – sono inclini a fare ulteriori investimenti in progetti di diversificazione energetica, mentre i paesi della “Nuova Europa” vedono Nabucco come un modo per sottrarsi alla dipendenza dal gas russo. Nel frattempo gli Stati balcanici vogliono sia Nabucco che South Stream, dato che hanno l'occasione di intascare pesanti tariffe di transito. E la Turchia, che ambisce a diventare lo snodo energetico dell'Europa se Nabucco verrà realizzato, spera di usare questa carta per conquistarsi l'ingresso nell'Unione Europea, prospettiva invisa alla “Vecchia Europa”.

Un'altra spinosa questione è rappresentata dalla necessità di assicurarsi le riserve upstream per Nabucco. L'Azerbaigian, che è un potenziale fornitore per Nabucco, si è recentemente avvicinato a Mosca e ha firmato un contratto per fornire gas azero ai gasdotti russi. Morningstar dovrà persuadere Baku a tornare all'ovile. Ha contatti eccellenti a Baku, ma Baku ha una forte tendenza a compiacere Mosca.

I legami fraterni tra l'Azerbaigian e la Turchia recentemente si sono allentati a causa del riavvicinamento (incoraggiato da Washington) tra Turchia e Armenia. Baku ha avvertito che la prevista apertura della frontiera turco-armena “potrebbe provocare tensioni e sarebbe contraria agli interessi dell'Azerbaigian”. Conta sull'appoggio di Mosca per il ritiro delle truppe armene dalle regioni che circondano il Nagorno-Karabach, insistendo che la “normalizzazione delle relazioni turco-armene deve procedere parallelamente al ritiro delle truppe armene dalle terre occupate dell'Azerbaigian”.

Se Mosca riesce a ottenere un ritiro delle truppe armene il grande gioco caucasico muterà radicalmente. È significativo che durante la sua visita a Mosca del 17 aprile il Presidente azero Ilham Aliyev abbia detto di non vedere ostacoli a un contratto per la fornitura di gas alla maggiore compagnia energetica russa, Gazprom.

Senza il gas azero Nabucco potrebbe venir meno. Questo ha spinto gli Stati Uniti ad assicurarsi le riserve di gas del Turkmenistan. Non sorprende che Bruxelles e Washington si siano entusiasmate quando durante la conferenza sull'energia svoltasi giovedì ad Ašgabat il Presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov ha detto: “Oggi stiamo alla ricerca di condizioni che ci permettano di diversificare le rotte energetiche e di includere nuovi paesi e regioni nella geografia delle rotte... Una componente cruciale per assicurare l'affidabilità delle consegne energetiche internazionali è la diversificazione delle rotte, la creazione di un'infrastruttura ramificata per la consegna ai consumatori”.

Ma è troppo presto per festeggiare. Per citare Ana Jelenkovic, analista del think tank londinese con sede a Londra Eurasia Group, “Penso che molti europei e gli Stati Uniti stiano cercando di sfruttare quella che vedono come una flessione nelle relazioni tra la Russia e il Turkmenistan, ma io non mi affretterei a definirla una frattura geopolitica significativa”.

Gli Stati Uniti stanno in effetti studiando tutte le opzioni. Con una mossa sorprendente, durante l'incontro con i giornalisti dopo la conferenza di Sofia Morningstar ha parlato dell'Iran come di un potenziale fornitore di gas per Nabucco. “Ovviamente adesso ricevere gas dall'Iran crea delle difficoltà per gli Stati Uniti e per altri paesi coinvolti”, ha ammesso.

“Ci [gli Stati Uniti] siamo rivolti all'Iran, vogliamo dialogare con l'Iran, ma per ballare bisogna essere in due e speriamo che riceveremo dall'Iran riscontri positivi”, ha detto Morningstar. Avrebbe anche detto che Nabucco potrebbe benissimo esistere senza il gas iraniano, ma che gli Stati Uniti stanno realmente cercando di dialogare con Teheran. Era speranzoso sull'esito, dato che in caso di disgelo una possibile “carota” sarebbe lo sviluppo del settore energetico iraniano con tecnologia occidentale. Ha fatto capire che l'Iran è destinato a trarre enormi vantaggi dal profondo impegno dell'amministrazione Obama a favore della sicurezza energetica dell'Europa.

Fatto interessante, proprio mentre Morningstar parlava a Sofia, il delegato degli Stati Uniti alla conferenza di Ašgabat, il vice assistente del Segretario di Stato George Krol, nel suo discorso ha fatto un'altra proposta che coinvolge l'Iran. Ha detto che gli Stati Uniti restano aperti alla prospettiva di esportare gas dall'Asia Centrale verso l'Europa attraverso l'Iran, che confina a sud con il Turkmenistan. Il pubblico di Krol comprendeva delegati iraniani.

Evidentemente l'Iran aveva previsto l'inevitabilità di questo cambiamento di mentalità degli Stati Uniti. A febbraio aveva firmato una bozza d'accordo per lo sviluppo dei giganteschi giacimenti di gas di Yolotan-Osman, vicino al Turkmenistan orientale. L'Iran ha anche firmato un contratto per aumentare l'acquisto annuale di gas turkmeno a 10 miliardi di metri cubi, un quinto di quello che la Russia compra dal Turkmenistan. L'Iran ha anche discusso con la Turchia il trasporto del gas turkmeno verso l'Europa attraverso il gasdotto Iran-Turchia già esistente. Gli Stati Uniti inizialmente si erano opposti alla cooperazione turca con l'Iran su questo fronte, ma ora c'è uno spostamento di paradigma, con Washington a promuovere proprio questa cooperazione e a premere perché il gas iraniano assicuri la sicurezza energetica degli alleati europei.

Sorge però un interrogativo a proposito del testa a testa tra gli Stati Uniti e la Cina, in gara per accedere al gas turkmeno (e iraniano). La Cina è prossima a completare un gasdotto attraverso il Kazakistan e l'Uzbekistan verso il Turkmenistan (che può anche essere esteso all'Iran) che permetterà di esportare 30 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno entro i prossimi due anni. Pechino si dice fiduciosa sulla possibilità che i lavori sul gasdotto da 7000 chilometri terminino entro la fine di quest'anno. Il Turkmenistan ha promesso di fornire 40 miliardi di metri cubi di gas attraverso questo gasdotto.

Curiosamente, Morningstar ha adottato un atteggiamento differenziato con la Cina. Per quanto riguarda South Stream, ha espresso il proprio scontento senza mezze misure. Ha affermato con durezza: “Abbiamo dubbi su South Stream... Abbiamo dei gravi problemi”. Ma passando a parlare di Cina il suo atteggiamento è mutato completamente.

“Vogliamo sviluppare relazioni di collaborazione con tutti i paesi coinvolti”, ha detto Morningstar. “Viviamo un momento di crisi finanziaria che rappresenta davvero un problema per tutti noi. Non possiamo permetterci di litigare su questi argomenti e dobbiamo tentare di essere costruttivi e di di occuparci tutti insieme dei problemi comuni.

“La Cina è un paese con il quale ritengo che noi negli Stati Uniti vogliamo dialogare, a proposito di questioni energetiche. Non penso che sia una cattiva idea che la Cina sia coinvolta in Asia Centrale. Penso che questo sia d'aiuto ai paesi centroasiatici. Forse ci sono possibilità di cooperazione che riguardano le compagnie europee, le compagnie americane, i paesi europei, gli Stati Uniti – forse possiamo cooperare con la Cina in quella parte del mondo ed è un'occasione che dobbiamo almeno esplorare in quanto area di possibile cooperazione”.

A una sola settimana dall'inizio del suo nuovo incarico Morningstar ha già cominciato ad attaccare la volata. Ha delineato un ambizioso piano per la diplomazia energetica degli Stati Uniti nel Caspio che pone la sicurezza energetica europea sotto l'ala degli Stati Unitie punta a neutralizzare le conquiste russe nel Caspio risalenti all'era Bush. Ma vede positivamente le incursioni cinesi nell'Asia Centrale in quanto rispondono agli interessi geopolitici degli Stati Uniti di isolare la Russia e di stroncare le pretese di Mosca di considerare la regione come propria sfera di influenza.

Chiaramente Washington adotterà con l'Iran un approccio estremamente pragmatico. Sta segnalando la propria disponibilità a rinunciare alle sanzioni contro l'Iran e a promuovere invece l'Iran come rivale della Russia nel mercato europeo del gas sia come fornitore che come paese di transito per il gas centroasiatico. Pochi annali della storia diplomatica moderna eguaglierebbero il realismo degli Stati Uniti.

Washington spera dunque di ricostruire anche le relazioni USA-Iran. Teheran ha un disperato bisogno di modernizzare la sua industria energetica e di sviluppare il suo settore del gas naturale liquefatto, che fornisce lucrosissime opportunità di lavoro per le compagnie petrolifere hi-tech statunitensi. Non c'è dubbio che si tratti di una situazione favorevole sia a Washington che a Teheran.


Originale: US promotes Iran in energy market

Articolo originale pubblicato il 27/4/2009

L’autore

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

URL di questo articolo su Tlaxcala:
http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=7523&lg=it


domenica 19 aprile 2009

Il governatore Perry prevede la secessione del Texas

Rick Perry il governatore illuminato del Texas, dall’inizio del mese d’aprile conduce una campagna per il rafforzamento dei poteri degli stati di fronte all’ipertrofia del governo federale. “Penso che il nostro governo federale sia diventato opprimente a causa delle sue dimensioni, della sua intrusione nella vita privata dei nostri cittadini e delle sue interferenze negli affari del nostro Stato. È per questo che devo oggi esprimere il mio ferreo appoggio agli sforzi condotti in tutto il paese per ribadire i diritti degli stati come stipulato dal 10.mo emendamento alla costituzione degli Stati Uniti. Credo che ritornare allo spirito ed alla lettera della costituzione degli Stati Uniti ed al suo essenziale 10.mo emendamento, liberi il nostro Stato da regolamenti eccessivi e, in definitiva, rafforzerà la nostra Unione”, ha dichiarato [1].

D’altra parte, 800 assembramenti di protesta contro i prelievi fiscali imposti dal presidente Barack Obama, per sostenere le banche, le società d’assicurazione e le transnazionali dell’auto, si sono svolte dal 23 febbraio al 15 aprile (termine per la dichiarazione dei redditi) in numerosi stati. Sotto la parola d’ordine “2009 Tea Party” (in riferimento alla manifestazione a Boston che iniziò la guerra d’indipendenza), queste assemblee sono state l’occasione per esprimere una profonda diffidenza verso Washington e, anche, a resuscitare le bandiere confederate.

Il governatore Rick Perry non ha mancato ad assistere al “2009 Tea Party” del Texas. In quella occasione, ha dichiarato alla stampa: “Il Texas è un luogo unico. Quando siamo entrati nell’Unione, in 1845, una delle condizioni poste era che avremmo potuto andarcene se lo avessimo deciso… Spero che l’America in generale e Washington in particolare, ne siano a conoscenza. Abbiamo una grande Unione. Non c’è assolutamente nessuna ragione di scioglierla. Ma se Washington continua a infangare gli americani, sa che causerà ciò”. [2]

Questa dichiarazione ha avuto l’effetto di una bomba, tanto più che nel corso del discorso del governatore, il pubblico aveva urlato “Secessione” senza che l’oratore se ne dispiacesse. Gli eletti democratici hanno imposto che il governatore Perry chiarisse la sua posizione, in un contesto teso: recentemente milizie secessioniste si sono raccolte attorno all’attore Chuck Norris. [3]

Rick Perry è succeduto a George W. Bush come governatore del Texas. È conosciuto per le sue posizioni oltranziste a favore del cristianesimo, della pena di morte, del porto d’armi, per la penalizzazione dell’aborto e dell’omosessualità.
In occasione del conferimento del suo secondo mandato, nel 2007, aveva organizzato un pranzo di gala durante il quale il suo amico, il rocker Ted Nugent, sfoggiava una bandiera confederata nel mezzo di in una scenografia decorata con crani indiani.
Personalità estremamente popolare nel Texas, Perry è anche influente sulla scena internazionale come dimostra la sua partecipazione al gruppo Bilderberg. Dovrebbe ottenere un terzo mandato consecutivo nel 2010 e dovrebbe vincere a man bassa, se il candidato secessionista Larry Kilgore si ritira.


Traduzione di Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia



[1] «I believe that our federal government has become oppressive in its size, its intrusion into the lives of our citizens, and its interference with the affairs of our state, That is why I am here today to express my unwavering support for efforts all across our country to reaffirm the states’ rights affirmed by the Tenth Amendment to the U.S. Constitution. I believe that returning to the letter and spirit of the U.S. Constitution and its essential 10th Amendment will free our state from undue regulations, and ultimately strengthen our Union».

[2] «Texas is a unique place. When we came into the union in 1845, one of the issues was that we would be able to leave if we decided to do that...My hope is that America and Washington in particular pays attention. We’ve got a great union. There’s absolutely no reason to dissolve it. But if Washington continues to thumb their nose at the American people, who knows what may come of that».

[3] « Chuck Norris organizza la prima riunione delle milizie per la secessione del Texas », Rete Voltaire, 14 marzo 2009.