venerdì 5 luglio 2013

La Croce di Tammuz

La Croce di Tammuz

di E. L. Henn (1934-1997)
Traduzione di Anticorpi.info

Avanti, soldati cristiani! 
Marciate come in guerra, 
Preceduti dalla croce di Gesù. 

Così recita il ritornello di un popolare inno cristiano cantato nelle chiese per molti anni. La canzone descrive la croce come segno distintivo intorno a cui i cristiani dovrebbero radunarsi nella loro lotta contro le forze del male.

In tutto il mondo la croce è considerata il simbolo della cristianità. Le chiese esibiscono croci in cima ai loro campanili oltre che sulle loro pareti, finestre e porte. Cattolici e protestanti indossano croci su collane, bracciali, anelli, ciondoli, portachiavi e articoli di abbigliamento. La gente compie il "segno della croce" toccandosi la fronte, il petto e poi le spalle per formare una croce simbolica nello svolgimento di alcuni rituali religiosi o nel benedire se stessi o gli altri. Alcuni pensano che il segno della croce sia efficace per allontanare gli spiriti maligni ed in generale per proteggere i credenti dal male.

Tutto ciò suona del tutto normale per la maggior parte delle persone. Dopotutto Gesù fu crocifisso su una croce, non è vero? Non è vero che in ogni epoca i cristiani hanno usato il segno della croce per manifestare al mondo la loro fede nel Salvatore del genere umano? La Bibbia menziona la croce in numerose occasioni, sia in termini letterali che figurati, a testimonianza del significato del vero cristianesimo e dei sacrifici e le prove che ogni vero cristiano deve subire in questa vita. Dunque perché qualcuno sembra trovare qualcosa di sbagliato nel segno della croce? Il segno della croce è realmente un emblema del vero cristianesimo o è qualcosa di diverso?

Croci precristiane.
E' vero che il simbolismo della croce iniziò con il cristianesimo? Notate questo paragrafo della Enciclopedia Britannica :
Dalla sua semplicità della forma, la croce è stata utilizzata sia come simbolo religioso che come ornamento, dagli albori della civiltà dell'uomo. In quasi ogni parte del Vecchio Mondo sono stati rinvenutioggetti contraddistinti dal simbolo della croce, risalenti a periodi molto anteriori all'era cristiana. India, Siria, Persia. L'uso della croce come simbolo religioso in epoca pre-cristiana, e tra i popoli non cristiani può probabilmente essere considerato quasi universale e in moltissimi casi era collegato con qualche forma di culto della natura.
Enciclopedia Britannica, 11° ed., 1910, vol. 7, pag. 506.
Chiaramente, quindi, già molto prima della venuta di Cristo i pagani utilizzavano la croce come simbolo religioso. Il mondo antico produsse molte variazioni del simbolo della croce.

"Le croci pre-cristiane più riscontrabili sono la croceTau, il cui nome deriva dalla somiglianza la lettera maiuscola greca Tau, e la svastica fylfot, chiamata anche 'Gammadion' per via della somiglianza alla unione di quattro lettere Gamma maiuscole greche. La croce Tau era comune nel simbolismo egiziano, ed è infatti spesso definita anche Croce Egizia"
Ibid.
"L'antico geroglifico egizio della vita, lo ankh, croce tau sormontata da un anello, conosciuta come crux ansata, fu diffusamente utilizzato sui monumenti cristiani copti."
Nuova Enciclopedia Britannica, 15 ° ed., 1995, vol. 3, p. 753
La croce Tau era originariamente un simbolo egizio pagano e successivamente fu adottato da un gruppo di cristiani definiti: copti, stanziati in Egitto. (Un copto è un membro della tradizionale Chiesa cristiana monofisita, di origine egiziana. Il Monofisismo è una variazione dello gnosticismo secondo cui Cristo era del tutto divino e non umano, sebbene si sia manifestato mediante un corpo umano.

Il Dio Tammuz e la Croce.
Da dove provenne la croce Tau? Nel libro di Ezechiele, Dio rivela al profeta alcuni peccati della nazione di Israele. Uno di essi era dovuto alla adorazione di un dio pagano di nome Tammuz.
"Egli mi condusse fino alla porta settentrionale dell'ala settentrionale della casa del SIGNORE, e vidi con mio grande sgomento che le donne sedute lì piangevano per Tammuz"
Ezechiele 08:14 
Chi era Tammuz e perché alcune donne avrebbero dovuto piangerlo? La Nuova Enciclopedia Britannica scrive che "Tammuz nella religione mesopotamica era il dio della fertilità, che incarna i poteri per la nuova vita nella natura in primavera" Vol. 11, pag. 532.

Questa divinità della natura fu associata a due feste annuali, una celebrata nel tardo inverno e l'altra in primavera.
"Il culto di Tammuz si incentrava su due feste annuali, la prima in cui si celebrava il suo matrimonio con la dea Inanna, ed il secondo in cui si piangeva la sua morte per mano dei demoni degli inferi. Durante la terza dinastia di Ur (2112 - 2.004 aC), nella città di Umma (moderna Dillo Jokha), il matrimonio del dio era celebrato nei mesi di febbraio e marzo, nel Festival di Tammuz. Le funzioni celebrate nei mesi di marzo-aprile glorificavano la morte del dio ed erano eseguite in modo teatrale. Molti dei lamenti per l'occasione avevano come scenario una processione nel deserto per manifestare il dolore per il dio ucciso.
Ibid.
Cosa ha a che fare con tutto ciò il simbolo della croce? Secondo quanto affermato dello storico Alexander Hislop, il culto di Tammuz era intimamente connesso ai culti misterici babilonesi di Nimrod, Semiramide e del loro figlio illegittimo: Horus. Il simbolo della lettera T babilonese era †, identico alle croci cristiane. Ed era il simbolo del dio Tammuz. Riferendosi a questo simbolo, Hislop scrive:
"Il Tau mistico era segnato sulla fronte degli iniziati ai Misteri. (...) Le vestali della Roma pagana indossavano abiti simili a quelli delle suore attuali (...) Quasi non esiste tribù pagana in cui non sia stato rinvenuto il simbolo della croce, il quale è la Tau, "†", il segno della croce, il segno indiscutibile di Tammuz, il falso Messia, ovunque sostituito in sua vece."
Le Due Babilonie, 1959, p. 198-199, 204-205
Adottato dai cristiani.
La storiografia dunque conferma che i cristiani adottarono questo simbolo come segno della loro religione, sebbene esso rappresentasse altri culti più antichi.
"La morte di Cristo in croce conferì un nuovo significato al simbolo della croce, fino a quel momento associato ad una concezione della religione non solo non cristiana, ma nella sua essenza spesso del tutto opposta al cristianesimo. I primi cristiani erano soliti ricorrere ad allusioni e segni segreti per proclamare la loro fede, e potrebbero avere riconosciuto l'uso della croce, per esempio la croce Tau e la svastica o fylfot, come segno di riconoscimento speciale che al contempo non suscitasse malumori o sentimenti di disprezzo nei loro concittadini."
Enciclopedia Britannica , 11 ° ed., 1910, vol. 7, pag. 506.
Ma in che epoca il cristianesimo iniziò ad usare il simbolo della croce come proprio segno distintivo? Gli apostoli lo utilizzavano?

Ebbene, le prove storiche dimostrano che il simbolo della croce non fosse utilizzato prima dell'epoca di Costantino, in cui divenne il simbolo riconosciuto della cristianità. Il riconoscimento pubblico attribuitole da Costantino fu senza dubbio influenzato dalla visione avuta dall'imperatore, in cui gli apparve una croce in cielo accompagnata dalle parole en toutw Nika [da questa conquista], nonché dalla storia della scoperta della vera croce dalla madre St . Helena, nel 326. Ibid.
Come abbiamo visto, un enorme corpo di prove dimostra che la croce non è un simbolo originale cristiano, ma affonda le sue radici nel paganesimo. Alcuni sostengono, tuttavia, che il segno della croce sia comunque utilizzabile perché 1) rappresenta il modo in cui Gesù Cristo morì, e 2) attualmente non rappresenta alcuna divinità pagana. Tuttavia, il suo uso come simbolo cristiano è un prodotto sincretistico, qualcosa che il Dio ebraico e cristiano condanna fermamente.

Sintesi di un articolo in lingua inglese, pubblicato su Forerunner (luglio 1996) di Earl L. Henn (1934-1997)

Pubblicazione Web sul sito Church of the Great God
Lin diretto:
http://www.cgg.org/index.cfm/fuseaction/Library.sr/CT/ARTB/k/471/Cross-Christian-Banner-Pagan-Relic.htm

Traduzione a cura di Anticorpi.info

lunedì 1 luglio 2013

Macchina del tempo: Buchi Neri, si è scoperta l'entrata!!!

Macchina del tempo: Buchi Neri, si è scoperta l'entrata!!!

 di Massimo Corbucci

 Esistono davvero! Da anni la fisica insegue la loro esistenza. Il grande fisico Paul Davies ha lanciato un’idea per costruire al “macchina del tempo”. Pero’ c’erano dei “problemi”….il piu’ grande era trovare da “dove” si entra per accedere in queste “gallerie”; incredibile ma vero, si e’ scoperta l’entrata!

 Dal film alla realtà 

 II romanzo “Contact” di Carl Sagan, reso celebre dall'omonimo film - che mostra un fantascientifico viaggio - offre un ottimo spunto di riflessione.
La realizzazione della "macchina del tempo" di Paul Davies è il sogno più fantastico degli umani. Entrare in una macchina, accendere i "motori" e agire sui comandi di bordo, per ritrovarsi istanta­neamente su un lontanissimo sistema solare o su un'altra galassia, per ora è stato solo un affascinante argomento di fantascienza e niente più.

Quali sarebbero le implicazioni di ordine antropologico, sociale e politico, se una cosa del genere fosse possibile? Semplicemente inimmaginabili. Non posso sapere se il progetto di Davies è ancora nel limbo delle cose immaginarie e lontane dalla effettiva realizzazione, per motivi politici o concretamente tecnici. Mi pare però di capire che il fatto che manchi totalmente la nozione del dove si entra, per accedere nei cunicoli spazio-temporali, rappresenti un bel problema di fattibilità immediata.

 Nel presente articolo il lettore potrà prendere atto di come questo aspetto, ora, sia completamente risolto. L’astrofisico americano Carl Sagan ha immaginato una storia, dove viene costruito uno speciale veicolo sferico, nel quale poi entra una donna "tempo-nauta", interpretata nella versione cinematografica, da Jodie Foster.

Lo scenario tecnico è quello da rampa di lancio spaziale e tutti quelli che partecipano al lancio nelle sale di comando non hanno la minima idea di come "partirà" l'astronave. Però tutti ritengono ovvio che verrà eiettata verso il ciclo a velocità pazzesca, sebbene il concetto di cunicolo spazio-temporale da qualcuno venga nominato.

Il veicolo sferico è appeso ad un traliccio dove ruotano inclinati su piani diversi un insieme di strutture a cerchio. Sempre nel film al centro della struttura si forma una luce accecante e in quel momento di massimo folgore l'astronave, tenuta sospesa sopra, si stacca e vi precipita dentro.

 A questo punto quello che vede accadere Jodie Poster e quello che vedono gli osservatori esterni è totalmente diverso. La donna scienziato fa un viaggio "scorrendo" velocissima dentro qualcosa che le appare come una sorta di tunnel strettissimo, viaggio non esente da scossoni e da tremende sollecitazioni al limite estremo della sopportabilità umana, poi si ritrova dolcemente come te le trasportata sulla superficie di un pianeta, dove le cose si "vedono" in tal modo, che sembra di trovarsi in un luogo dove la luce è fortemente "incurvata" e sottoposta a strani fenomeni di rifrazione. Infine la tempo-nauta si ritrova con la faccia sul pavimento del veicolo.

Gli osservatori esterni hanno solo visto la grossa palla metallica staccarsi e cadere in mare. Pertanto ritengono che il lancio nello spazio sia fallito e sono alquanto perplessi nel sentire ciò che racconta di aver visto la donna, che come esperienza si colloca in decine di ore di vissuto. Il film finisce, non certo lasciando lo spettatore nel dubbio che tale viaggio non sia stato reale, ma facendo sentire fortemente l'inadeguatezza di ciò che è stato mostrato nel tentativo di far comprendere come si possa andare tanto lontani nelle profondità dello spazio, senza percorrere lo spazio che vi è interposto. 

II Vuoto Quanto-meccanico 

 Comprendere come un corpo fisico possa improvvisamente "implodere" e scomparire, per "riemergere" da qualche altra parte, allo stato attuale delle nozioni scientifiche note, non è affatto intuitivo. La nozione nuova è rappresentata dal concetto di vuoto quanto-meccanico e siccome, come disse Erwin Scrhódinger, “chiunque non riesca a raccontare a tutti quello che ha scoperto o fatto ha compiuto un'opera inutile", mi sto sforzando dopo il 2000, di rendere molto chiaro e semplice, anche per un bambino, che cosa intendo con il termine vuoto quanto-meccanico.

Ora che debbo far capire come il film Contact riveduto e corretto, non è più pura fantascienza ma racconta il futuro della fisica, ho un'altra buona occasione per farlo. Come fa il "veicolo" sferico a cadere "semplicemente" in un bagliore di luce, percorrendo pochi metri e a ritrovarsi ad anni-luce di distanza? Ricorro al mio "cavallo di battaglia", che è l'auf-bau atomico fatto come un vero 

Palazzo medievale

 Immaginate un cavaliere del 1200 rincorso da un'orda di scalmanati predatori in una notte di tregenda.

 Proprio mentre gli stanno per afferrare il bavero della cotta, riesce a guadagnare l'entrata del Palazzo del suo signorotto protettore e in men che non si dica è dall'altra parte della città, a molti chilometri, senza che nessuno lo abbia visto passare negli "scantinati" (nel nucleo) qui viene il bello: gli scantinati non sono tanti quanti gli appartamenti, vale a dire 112, bensì 103. In altre parole 9 scantinati sono quelli "requisiti" dal Creatore per "scavare" un tunnel, che comunica con TUTTA la rete di tunnel cosmica.

È accedendo a quel tunnel, che si può arrivare in qualunque posto lontano o vicino dell'universo. 

 Come ha Fatto? 

 È risaputo che nei Palazzi di un certo lignaggio si spendeva grosse cifre per far fare i cosiddetti sotterranei, che mettevano in comunicazione con altri Palazzi o con altri luoghi, dove c'era interesse ad arrivare, senza essere visti dagli osservatori esterni. Ponendo che l’auf-bau atomico si ispiri ad un vero Palazzo, l'atomo Corbucci ha la scala A con 50 appartamenti e la scala B con 62 appartamenti (per un totale di 112, come spesso reiterato in più occasioni!). Quattro appartamenti sono abitali dal "progettista" del palazzo, nella compagine di 116 (vedi la figura dove tutti gli elettroni di un atomo, sono messi nel giusto ordine, dal nome: ordine di riempimento dei livelli atomici*). 

 Quando si scende negli "scantinati" (nel nucleo) viene il bello: gli scantinati non sono tanti quanti gli appartamenti, vale a dire 112, bensì 103. In altre parole 9 scantinati sono quelli "requisiti" dal Creatore per "scavare" un tunnel, che comunica con tutta la rete di tunnel cosmica. È accedendo a quel tunnel, che si può arrivare in qualunque posto lontano o vicino dell'universo. La gravità già "viaggia" lì, per portare "lontani" i suoi effetti tra "masse" (n. 9 della rivista Scienza e Conoscenza). 

Se all'interno può viaggiare la gravità, allora può entrarci an­che un veicolo, come quello del Film Contact. Ecco spiegato molto chiaramente il funzionamento di un wormhole ( buco nero). 

Quantomeno è chiaro da dove si entra. Per arrivare a capire anche come si entra, è necessario ancora un piccolo sforzo. Non vi pare? 


 Werner Heisemberg disse: «La descrizione in un linguaggio semplice, costituisce un criterio per il grado di comprensibilità che è stato raggiunto». 

Questo e il metro di misura che ho usato per descrivere a me stesso che cosa sia un buco nero. Vedrete che un wormhole e un buco nero sono la stessa cosa. Il vantaggio che ho avuto rispetto a Stephen Hawking, al quale chiedo venia per l'intrusione in un campo a lui riservato, è che ho trovato all'interno del nucleo atomico, l'area nera tra i 46 barioni a spin 1/2 e i 57 a spin 3/2 e mi sono reso conto che è il "pozzo senza fondo" mattonato di rishoni vavohu e tohu, che sono all'origine del cosmo. Pertanto sono potuto arrivare ad una visione dell'atomo "senza veli", l'atomo è un "baratro" rivestito di elettroni e di protoni! E basta niente perché rimanga solo il baratro! Basta che per gravità si avvii il processo di neutronizzazione. Vale a dire, gli elettroni si spiaccichino sul nucleo, rendendo il protone "neutro". La fase successiva di "non ritorno" l'ho chiamata "quarkizzazione" (se il termine passa, sarò il primo ad averlo usato, per fortuna le stelle di quark sono state trovate sul serio!

 Quelle di neutroni erano note a tutti). I quark che si avvicinano tanto tra loro, fino a spiaccicarsi l'uno contro l'altro, come avevano già fatto elettrone e protone, sapete perché determinano la fine della materia e il "trionfo" del baratro? Semplice: la forza di "colore", che tiene i quark, e caratterizzata dal fatto che "tira" come un polente autotreno, se i quark tendono ad allontanarsi, mentre si azzererebbe, via-via che si avvicinano. Il campo di colore a zero, significa che rimane il niente. Attenzione però a questa parola! Mi sono già imbattuto nella pericolosità epistemologica di questo termine che ha mietuto vittime, ignare di etimologia. 

Il termine "niente" deriva da nec ens = che non è ente. 

Ente = Dio. Perciò, quello che rimane della materia quando sì è neutronizzata e quarkizzata, non è affatto nulla, ma un quid che non e' Dio, piuttosto il luogo dove risiede! La sorpresa di un luogo così, per i fisici, è che attrae al suo interno la materia, come il gorgo di un lavandino attrae l'acqua. 

Di concettualmente nuovo c'è da capire che da li la materia viene risucchiata, ma anche partorita! A parte questa funzione duale, fondamentale è trarne la nozione che il risucchio della materia è un viaggio a sola andata verso un altro universo, parallelo al nostro, ma senza la minima speranza di rapporti col nostro, una volta avvenuto il "tuffo" nel gorgo vorticoso. 

Questo punto ha rappresentalo per anni una controversia tra Hawking e Thorne; Peccato che ci siano voluti anni per sancire la vera natura affatto nera, dei buchi neri! Ora che questo punto è chiarito, potrebbero essere maturi i tempi per l'inizio dell'era dei viaggi nei wormholes. Vi parlerò della scoperta eccezionale, che li renderà possibili! 


 Siamo già nel 2004, ma nel 2002 è stata fatta una scoperta straordinaria: l'osservatorio a raggi X Chandra ha sentito il suono di un buco nero. Vi confesso che non avevo la minima idea di come entrare dentro quel nero sub-nucleare, che ho scoperto nel nucleo atomico, di cui avevo tuttavia compreso la funzione. 

Né avrei potuto mai scrivere questo articolo, se la scoperta non fosse stata fatta. Che cosa è stato scoperto di tanto importante da Andrew Habian all'Istituto di Astronomia di Cambridge? Dall'osservatorio orbitante della NASA, che ha il nome Chandra e "vede" nella "finestra" dei raggi x, è stato puntato l'obiettivo su un ammasso di galassie del Perseo, distante da noi 250 milioni di anni luce. Al centro si trova la galassia ngc 1275 e nel suo nucleo si annida un buco nero. Si è scoperto che tutto il gas intergalattico (idrogeno!) che permea l'ammasso è increspato! (vedi increspature nella foto).

 La foto e un documento scientifico semplicemente incantevole: onde sonore (!) sono state rilevate dal telescopio Chandra della NASA.. Prodotte dal Buco Nero iper-massiccio situato al centro della galassia del Perseo ngc 1275 , appaiono "visivamente" come increspature nel gas caldissimo che riempie l'ammasso. Un'immagine cosi rimarrà nella storia della fisica e nell' inconscio collettivo. 

La Bibbia aveva ragione: all'inizio davvero fu il suono! Per farla breve, sapete a cosa sono dovute le increspature, che si estendono per centinaia di migliaia di anni luce? Sono dovute ad un suono, di potenza pazzesca, che proviene proprio dal buco nero. frequenza del suono? R) La nota musicale do, con "armoniche" in 57 ottave. Ricorderete che nel primo capitolo della Bibbia, la Genesi, si legge: «All'inizio era il cielo (Vavohu) e la terra (Tohu) e il suono». 

Voi non ci crederete, ma dopo l'acquisizione di quella nozione, ora so come entrare in un buco nero o in un wormhole. È d'obbligo ricordare che Nathan Penrose insieme ad Albert Einstein, furono, in assoluto, i primi scienziati ad elaborare un'ipotesi teorica sui canali spazio-tempo (1935). 

Vediamo che cosa erano e che cosa sono tuttora e concettualmente questi canali: pratica­mente sono "scorciatoie" che conducono da un punto A ad un punto B; in modo "nascosto'" all'evidenza della continuità spazio-temporale (la fig 1 rappresenta il paradigma concettuale). 

Abbiamo un piano nello spazio dove s'immagina che sprofondi lo spazio nei 2 punti rispettivamente A e B e che una "gola di verme" metta in comunicazione le 2 imboccature sprofondate in A e in B. La lunghezza di tale cunicolo invero è maggiore della distanza diretta visibile esternamente ad occhio nudo tra A e B, pertanto definirlo una "scorciatoia'' non viene naturale. 

La fig. 2 è maggiormente espressiva del paradigma "scorciatoia" , che vogliamo illustrare: i due punti A e B vengono a trovarsi sovrapposti, per effetto della curvatura spaziale, determinata dalla gravità. Pertanto si capisce che per andare da A a B percorrendo la distanza interposta bisogna fare tutto il giro, mentre arrivare da A a B introducendosi nella "gola di verme", che si trova rispettivamente nei punti dove "sprofonda" A e sprofonda B, è fare un tragitto abbreviato, molto privilegiato, da potersi definire giustamente scorciatoia. 

Nel 1935 Einstein e Penrose pensarono proprio a quell'immagine (vedi anche fig. 3) e molti fisici si dettero da fare per inventare il tunnel di connessione. Scavare un tunnel sotto una montagna è un'impresa mollo ardua, ma con buona volontà è con trivelle mostruosamente potenti, è cosa fattibile. 

Fig. 3: Tavola barionica e funzionamento del wormhole 

 Per la prima volta al mondo è illustralo il funzionamento del wormhole: l'azione è quella di un cunicolo, che collega due punti lontani dello spazio per la "scorciatoia'' tra questi stessi punti, dove si trova l'imboccatura di entrata e quella di uscita. Prima del modello atomico Corbucci, sembrava che ci volesse un dilatatore di Casimir per creare un buco, utile ad accedere all'imboccatura dell'entrata; L’evidenza che la simmetria del nucleo è rotta tra 46 barioni a spin 1/2 e 57 a spin 3/2 da un nero, fa comprendere che lutti gli atomi del creato hanno già nel loro nucleo la "porta" comunicante, una vera rivoluzione "copernicana", che rende possibili i viaggi a distanze enormi a tempo zero, come nel celebre film Contact, interpretato da Jodie Foster. 

 Come si debba "scavare" un tunnel spazio-temporale nessuno ancora lo ha capito. 

 Dove va applicata la trivella? 
 Nel 1958 al fisico Casimir sembrò di aver trovalo la soluzione. Scoprì un effetto, che porta il suo nome, consistente nel fatto che 2 piastre di un condensatore poste l'una contro l'altra e messe sotto altissima tensione, finiscono per respingersi, come se si creasse una forza dal "vuoto". Star "Gate" sarà una realtà entro il 2010 Ovviamente se la comunità scientifica non si lascerà scappare questa occasione! (Ovvero di mettere insieme i fisici, che separatamente non possono arrivare a tanto, senza badare a blasoni, titoli accademici e convenevoli vari, ma badando alla "sostanza"). Che siano crollate le due "torri" di Galileo e di Newton, ormai non può essere più nascosto. La fisica moderna attende di incorporare nuovi modelli: uno è l'atomo con auf-bau leptonico a 112 e auf-bau barionico a 103. L'altro è il modello standard senza più la forza di gravità, i gravitoni e i neutrini tauonici e manco a dirlo, senza il bosone di Higgs. 

L'unificazione delle forze (quella che diminuisce con la distanza e quella che aumenta con la distanza) è belle fatta! Comincerà una visione del mondo non più atea, foriera di pace tra i popoli e di ricerca del benessere spirituale, non più del benessere (!?) economico. Il modo di "cacciarsi-den-tro" quel nero sub-nucleare, una volta capito che l'atomo è un baratro, "rivestito", si trova. Basta togliere via il "vestito" (un fortissimo suono nelle ottave del do servirà a "spogliare" gli atomi, con una semplicità sorprendente). Tuttavia è importante capire cosa accadrà una volta "dentro" il nero; ci si ritroverà in ogni luogo contemporaneamente. 
Emergere su Marte, anziché su un astro di una galassia lontanissima o semplicemente in una piazza di Parigi, dipenderà da un effetto che si chiama volontà, occorrerà imparare questo "concetto", prendendo spunto dallo stesso fenomeno per cui noi siamo qui e non altrove, che si chiama volontà di Dio. Quando sarà chiaro a tutti come è possibile l'esistenza, grazie alla volontà di Dio, quel giorno si potrà andare davvero ... oltre la fisica. 

 By Massimo Corbucci 2004 Tratto da: Scienza & Conoscenza

venerdì 29 marzo 2013

0827 Il problema di Cipro

Olivier Berruyer

les-crises.fr



Per la serie «maledetta primavera», ecco una analisi lucida (quanto spero) sulla situazione a Cipro

La situazione è molto semplice, ma molto complessa da risolvere. Dunque, non aspettatevi quelle posizioni nette che si sentono da una settimana, del tipo «è un colpo di Stato, una sporca manovra, un attentato alla democrazia», né all’opposto «l’Europa avanza, la cosa è positiva».

I. Cipro 

Piccolo riassunto storico: Cipro è un’isola del Mediterraneo orientale, composta a livello etnico da Greci e Turchi. Sofferente di problemi inter-comunitari fin dagli anni ’50, Cipro va in crisi nel 1974 quando il regime dei Colonnelli – un regime d’estrema destra ultra-nazionalista – fomenta un colpo di Stato finalizzato alla realizzazione della Enosis, l’annessione pura e semplice dell’isola alla Grecia. Le popolazioni turche sono minacciate e l’esercito di Ankara coglie l’occasione ed invade la parte nord dell’isola che viene a sua volta isolata – tanto che fra le due parti viene tracciata una linea verde – con quella che tutt’ora viene considerata in Turchia come un’operazione di pace. La linea verde taglia Nicosia – la capitale – in due, con una zona tampone che dal 1975 è controllata dai Caschi Blu dell’ONU.

Cipro Nord, occupata dalla Turchia, che vi tiene 35.000 militari, è diventata di fatto un territorio autonomo. La comunità internazionale non riconosce tale suddivisione e quindi il Nord è un territorio occupato. La terminologia di matrice turca fornisce un chiarimento in quanto fa riferimento essa stessa a colonie: 100.000 coloni Turchi provenienti dall’Anatolia hanno infatti popolato le terre del Nord, e le coltivano. Oggigiorno, la Turchia rifiuta di riconoscere Cipro, che è uno dei 25 membri di quella Unione Europea alla quale sogna di aderire. In vista di una soluzione del conflitto, Cipro rifiuta qualsiasi compromesso. Nicosia può permettersi una tale intransigenza grazie alla sua integrazione europea che data dal 1° gennaio 2004. Fra i nuovi membri – quelli entrati nel 2004 – Cipro è il più ricco.

Koffi Annan ha proposto un piano per Cipro, approvato dal governo turco contro il parere della propria opinione pubblica e rifiutato dal 75% dei Greci. (Si dovrebbe lodare questa strategia eccelsa che ha fatto entrare nell’Unione Europea un Paese che al 40% è in stato di occupazione... ).

Il 1° gennaio 2008, 5 anni fa, Cipro ha adottato l’euro. L’isola conta 1,1 milione di abitanti (880.000 circa nella zona indipendente); il che è come dire che ha 1/75° degli abitanti della Francia.

II. Il contesto

Cipro ha sviluppato enormemente il proprio settore finanziario basandosi sulla non-trasparenza e sulla tassazione ridotta. Sono quindi molte le imprese straniere che hanno scelto di costituirsi sull’isola approfittando di considerevoli vantaggi fiscali (bassissima imposizione sulle imprese, con un’imposta unica sulle società del 10%, che sarà alzata al...12,5% !). È forte di un rigido segreto bancario, d’un territorio ben attrezzato e di leggi permissive.

Ad esempio, molte società di intermediazione online si sono domiciliate a Cipro fin dagli anni 2000. Alcune imprese ne hanno approfittato per ripulire il loro denaro sporco. Cipro si è così ritrovata nella lista nera ONU ed OCDE dei paradisi fiscali. Anche molti oligarchi e/o mafiosi russi, utilizzano l’isola per ripulire parte dei propri guadagni illegali. Da tutto ciò è derivato che il settore bancario cipriota ha raggiunto dimensioni, in proporzione allo Stato che le ospita, gigantesche: oltre 7 volte il PIL nazionale:
 

Chypre crise dette
Improvvisamente, le banche hanno cominciato a prestare a piene mani, con operazioni non sempre ortodosse... Come vediamo, il debito privato a Cipro è il più importante d’Europa:Chypre crise dette
[Debito privato verso le banche nella zona euro al gennaio 2013, espresso in % del PIL]

Il paragone con la Francia è impressionante:
Chypre crise dette

[Indicatori bancari a Cipro ed in Francia al gennaio 2013] 

III. Le difficoltà
La crisi, spaventando gli investitori, ha dato un grosso colpo a questomodello
Chypre crise dette

[Dimensione del settore bancario a Cipro, 2006 – 2012]

I depositi – in euro – del settore non-finanziario, sono aumentati in forte misura:

 Chypre crise dette
[I depositi del settore non-finanziario nelle banche di Cipro, 2006-2012]

L’evoluzione di alcune componenti di tale assetto è piuttosto interessante:
Chypre crise dette

Chypre crise dette
[Grafico 1 e 2 – Origine dei depositi del settore non-finanziario nelle banche di Cipro, 2006-2012]

Se ne osserva una crescita importanti nei depositi:

  •  dei Ciprioti,
  •  e degli investitori extra-UE (i Russi), con circa 20 miliardi di euro

A livello di depositi bancari la situazione è identica, con un picco enorme verso il 2010 delle banche dell’eurozona:
Chypre crise dette

Chypre crise dette
[Grafico 1 e 2 – Origine dei depositi del settore finanziario nelle banche di Cipro, 2006-2012]

IV. La crisi

Il settore bancario di Cipro ha conosciuto gravi difficoltà a causa delle proprie implicazioni con la Grecia ed ha subito, come gli altri, la perdita di valore del 2012; ma in questo Paese la cosa ha avuto un impatto enorme, più che in altri Paesi dell’eurozona. Attualmente necessita di 10 miliardi di euro su di un PIL di 18

Anche l’apparato statale ha le medesime difficoltà: si stima che necessiti di 7 miliardi di euro per i prossimi 3 anni (a fronte di entrate annue di circa 6 miliardi di euro).

Davanti ad una simile situazione di pre-fallimento, l’Eurozona – che, diciamolo subito, ha incoraggiato la frode nei suoi stessi Paesi «ed è risultata essere assolutamente impreparata quando la crisi ha colpito», ed in particolare i Tedeschi che recalcitrano da vari mesi sul venire in aiuto a quest’isola microscopica – recita la parte della formica che non fa prestiti: ed ecco il default ridotto... Stando così le cose, un mese fa, Jeroen Disselbloem – presidente dell’Eurogruppo – sosteneva che la chiave del blocco cipriota era da ricercarsi nel rifiuto del vecchio presidente comunista di privatizzare i beni dello Stato cipriota….

Ma finalmente, è stato da poco trovato un accordo, con la Troika (Commissione europea, BCE e FMI), per finanziare i 17 miliardi di dollari del buco. (Troika, quanto adoro questa parola che nasce come termine generico russo per indicare un qualsiasi insieme di 3 cose, come è un triumvirato; lo adoro perché essi stessi si sono scelto un termine che indica quei tribunali itineranti sovietici che, fra le due guerre mondiali, condannarono a morte senza processo il 99,9% dei malcapitati accusati finiti nelle loro grinfie).

Dunque, laccordo con la Troika:

• 10 miliardi di euro prestati (9 dall’UE ed 1 dal FMI);
• 7 miliardi di euro finanziati da Cipro, 5,8 dei quali tramite unatassa su tutti i depositi bancari del Paese.

Chypre crise dette
Quello di cui si è parlato diffusamente è, ovviamente, quest’ultimo punto. Sembra che siano stati i Tedeschi ad insistere per questa tassazione; ma sembra anche che volessero esentare i conti sotto i 100.000 euro ma che siano stati i Ciprioti ad insistere affinché la tassa riguardasse tutti, con differenti aliquote: (nella versione finale) l’aliquota doveva essere 0% sotto i 20,.000 euro, 6,75% fra i 20.000 ed i 100.000 ed il 9,9% sopra.Chypre crise dette
[Prospetto della tassazione sui depositi di Cipro]

Questo piano è stato rifiutato dal parlamento e i Russi hanno reagito in maniera decisa:

Dmitri Medvedev, come citato dall’agenzia Interfax, ha dichiarato: «Mi sembra che in questa situazione siano già stati commessi tutti gli errori che era possibile commettere», aggiungendo poi di sperare che la soluzione adottata permettesse «che le nostre relazioni con l’UE non si deteriorino».

Recentemente la BCE ha annunciato di voler tagliare la fornitura europea alle banche finché non sarà votato ed approvato un piano per garantirne la solvibilità.

V. Discussione

In questo dossier abbondano gli elementi positivi e quelli negativi. Vorrei condividere con voi il quadro complessivo: di fronte al passivo di Cipro, è più che normale che i Ciprioti partecipino al piano, se vogliono i soldi europei. A quelli che urlano contro il piano, vorrei far notare che noi prestiamo all’isola 10 miliardi di euro – probabilmente persi – che equivalgono alla pinzillacchera di 25.000 euro a famiglia cipriota. Il volume del quale necessitano le banche.

Come può Cipro recuperare 7 miliardi di euro? Alzando le tasse, è evidente. (ammettendo, certo, che la soluzione «austerità per una generazione» non sembra procedere in modo entusiasmante, in Grecia…).

Siccome c’è urgenza – ed un malloppo di denari sporchi – sembra perlomeno evidente che la tassa sui depositi sia una gran bell’idea. La tassazione dei patrimoni ha infatti di gran lunga la mia preferenza rispetto alla tassazione dei redditi, per una questione di giustizia fiscale... D’altra parte, in questo momento, è anche un trucco al quale è meglio non ricorrere perché mette in allarme i risparmiatori di tutte le nazioni del Sud Europa, in un regime di libera circolazione dei capitali e transazioni, anche su internet. Però, bisogna comunque tagliare... ciò detto, tassare tutti è palesemente stupido: primo, non rende niente; secondo, crea dei problemi tanto seri da mettere in pericolo l’intero edificio bancario, tanto è vero, che il governo Cipriota ha preferito tassare la propria popolazione piuttosto che tassare un po’ di più gli stranieri – maledetta decisione, contro ogni logica e contro gli insegnamenti di secoli di Storia, e – come vedremo fra poco – totalmente inefficace.

Tutto quello che i creditori chiedono è tassare i depositi per ricavarne 5,8 miliardi di euro. A riguardo il governo ha queste scelte:

• tassare tutti dell’8,3 %;
• tassare fra il 6,75 / 9 % fino al limite dei 100.000 €, esonerando sotto i 20.000 € (almeno il 60 % dei ciprioti hanno il conto sotto i 20.000 euro, quindi è un volume enorme);
• tassare del 30 % i soli depositi di extra-UE.

Dopotutto, è lo stesso dilemma che si avrebbe davanti al fallimento: come ripartire le perdite.

Ed infatti è esattamente questo il punto che ci aspetta, dato che abbiamo preso a prestito più denaro di quello che potremo rimborsare. Io calcolo che l’aumento del rischio richiederà una compensazione [haircut, ndt] fra i 1.200 ed i 1.500 miliardi di euro (valore in linea con Cipro : 17 x 75 = 1.275).

In questo caso, lo Stato avrà diverse possibilità:

1. prelevare questa somma tramite imposte 
2. fare default 
3. creare una fortissima inflazione.

In ogni caso si tratterà di 1.200 miliardi di euro di risparmi reali in meno, e se ognuno dei tre interventi equivale all’altro a livello macro, non è così a livello micro, perché quelli che perdono non sono gli stessi...

Da ultimo, mi diverte il sentir gridare al crimine contro la libertà o la democrazia. Per prima cosa, il presidente cipriota eletto ha accettato il piano. Ed il parlamento lo ha votato ed era talmente «non democratico» che lo ha rifiutato...

Vorrei poi ricordare che, per definizione, l’imposta è un attentato al diritto di proprietà, e che non c’è una grande differenza fra il mettere delle tasse (che vengono pagate coi soldi presi dai risparmi) ed il prenderli direttamente dai conti in banca. Nello specifico, la differenza principale è che quest’ultimo modo permette di tassare i mafiosi Russi, cosa che non sarebbe possibile con una tassa la cui discussione potrebbe durare dei mesi...

Ricordiamo anche che i depositi incassano gli interessi a Cipro, spesso con un rendimento fra il 3 ed il 9%; quindi questa tassa volta a salvare il sistema bancario implica, in ultima istanza, di rinunciare semplicemente a 2 o 3 anni di interessi, ma questo sarebbe un crimine atroce.

Va bene, allora sia chiaro che i debiti non saranno mai rimborsati; personalmente non saprei come fare senza mettere una tassa.

C’è poi la favoletta della garanzia sui depositi fino a 100.000 euro: una favoletta se sai che i fondi disponibili sono ridicoli. Per cui, per pagare i depositi garantiti, servirà una tassa, che farà calare i depositi, e così non si ottiene nulla...

Ci sono poi le pressioni della BCE, coinvolta per miliardi; ed io sono contento che Mario Draghi in questo caso difenda i miei interessi piuttosto che quelli dei mafiosi Russi...

Il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha dichiarato che «Chiunque investa il proprio denaro in un Paese dove si paghino meno tasse, o dove forse si è meno controllati, si assume il rischio quando le banche di quel Paese non sono più solvibili. È una cosa evidente».

Dopo di che, se la cosa non piace ai Ciprioti, basta che abbandonino l’euro (cosa che raccomando loro, ma che non si verificherà senza delle perdite a carico dei loro patrimoni)…

Ben inteso, la reazione dei Russi mostra la follia furiosa di questo valzer finanziario internazionale quando le cose vanno a finire male (come sempre): grossi problemi diplomatici all’orizzonte. Per esempio, se cede per prima l’Europa, ci vorrà del coraggio per spiegare ai pensionati americani che hanno perduto la propria pensione perché la capitalizzazione è andata distrutta. Stando così le cose, è comico che siano i Russi a strepitare per un piccolo default, loro che nel XX° secolo hanno fatto bancarotta 2 volte, e non del 10% ma del 75 e del 100%...

Da ultimo, è scandaloso che non siano stati licenziati i dirigenti delle banche: le banche cipriote hanno 15 miliardi di capitali propri che devono essere ricostituiti: Dunque, cominciamo col ripulire le dirigenze.

VI. Riassumiamo

Gli aspetti positivi: 

 la tassa sui depositi 
• far pagare i grossi depositi, compresi quelli degli stranieri 
• ritorno alla realtà: quando ci si indebita, bisogna rimborsare
• il richiamo al fatto che quando si mette del denaro all’estero, non si ha più voce in capitolo 
• la fermezza della BCE

e quelli negativi:

• la tassa sui depositi 
• far pagare i piccoli depositi 
• i problemi con la Russia
• non aver licenziato le dirigenze delle banche 
• prestare 10 miliardi di euro a Cipro! 
• Ma chi ha fatto entrare nella zona euro un paradiso fiscale? (e cosa ha fatto il vecchio presidente comunista contro questo modello?)

Morale: la cosa non è semplice, e – ne sono desolato – ma non ho una soluzione valida per rimediare a 30 anni di una finanza fuori controllo...

In chiusura, si dirà che il cittadino comune di Cipro non è coinvolto in questa situazione finanziaria e che abbia beneficiato ben poco della scelta di un paradiso fiscale. C’è da rifletterci. Naturale che la democrazia sia imperfetta, ma non per questo si può andare avanti a giustificare tutto, non più; né a dire che il popolo non sia responsabile di nulla: vota, può manifestare, può impegnarsi. Altro esempio: la legge bancaria in Francia. Il popolo non ne è forse responsabile? L’ha votata, ma non conta nulla davanti a questo scandalo e tutti noi, io per primo, ce ne stiamo tranquillamente a casa invece di andare ad urlare davanti al Senato. Siamo quindi assolutamente responsabili della nostra pusillanimità e quindi saremo responsabili delle conseguenze che ciò avrà sui nostri risparmi.

Per finire, vorrei ricordare questa bella frase:

«Non si è solo responsabili di quello che si fa, si è anche responsabili di quello che si lascia fare». (Jacques Semelin)



lunedì 28 marzo 2011

Una delle ultime tribù incontattate del mondo, in Brasile, vicino al confine peruviano



Survival International جنبش حامی از ملل بومی

A Survival International sono state affidate nuove immagini che rivelano informazioni sui popoli incontattati mai diffuse prima. Gli Indiani fotografati vivono in Brasile, vicino al confine peruviano.

Le immagini mostrano una comunità prospera e forte con ceste piene di manioca e papaia appena raccolte nei loro orti.
© Gleison Miranda/FUNAI/Survival

Le immagini sono state scattate dal Dipartimento brasiliano agli affari indiani, che ha autorizzato Survival a usarle per arrivare a proteggere il loro territorio. Le immagini mostrano una comunità prospera e forte con ceste piene di manioca e papaia appena raccolte nei loro orti.

La sopravvivenza della tribù è messa in serio pericolo dalla penetrazione massiccia e illegale di taglialegna nel lato peruviano del confine. Le autorità brasiliane ritengono che l’invasione stia spingendo gli Indiani isolati peruviani verso il Brasile, e che i due popoli possano entrare in conflitto.

Da anni Survival e altre Ong chiedono al governo peruviano di intervenire con determinazione ed efficacia per fermare l’invasione, ma è stato fatto ben poco.

L’anno scorso, l’organizzazione americana Upper Amazon Conservancy ha effettuato l’ultimo di una serie di voli di ricognizione sul lato peruviano fornendo ulteriori prove del taglio illegale del legname in corso in un’area protetta.

L’uomo, con il corpo dipinto con l’annatto, è nell’orto della comunità, in mezzo ai banani.
© Gleison Miranda/FUNAI/Survival

“È necessario ribadire che queste tribù esistono” ha dichiarato oggi Marcos Apurinã, coordinatore dell’organizzazione degli Indiani amazzonici brasiliani COIAB, “quindi abbiamo deciso di appoggiare la diffusione di queste immagini che documentano i fatti. I fondamentali diritti umani di questi popoli vengono ignorati, soprattutto quello alla vita. Pertanto, è di vitale importanza proteggerli.”

La decisione è stata commentata anche da Davi Kopenawa Yanomami, famoso leader degli Indiani brasiliani: “Dobbiamo proteggere i luoghi in cui gli Indiani vivono, cacciano, pescano e coltivano. Mostrare le immagini degli Indiani incontattati è utile perché mostrano al mondo intero che sono lì, nelle loro foreste, e che le autorità devono rispettare il loro diritto di vivere nelle loro terre”.

L’organizzazione degli Indiani amazzonici AIDESEP ha diffuso un comunicato in cui si legge: “Siamo profondamente preoccupati per la mancanza di intervento da parte delle autorità… Nonostante le sollecitazioni contro il disboscamento illegale che giungono da fuori e dentro il Perù, non è ancora stato fatto nulla”.

Uomini con il corpo dipinto di tinture vegetali rosse e nere osservano l’aereo dei funzionari del governo brasiliano.
© Gleison Miranda/FUNAI/Survival

“Proteggere le terre in cui vivono i popoli incontattati è importante per tutto il mondo” ha dichiarato il presentatore Bruce Parry, conduttore della celebre serie televisiva Tribe. “In passato non siamo mai riusciti a inserirli nelle nostre società senza infliggere loro traumi terribili. Decidere quando unirsi al nostro mondo spetta a loro, non a noi.”

“I tagliatori illegali della foresta distruggeranno questa tribù” denuncia Stephen Corry, direttore generale di Survival International. “Il governo peruviano deve fermarli prima che sia troppo tardi. Le persone ritratte nelle foto sono evidentemente sane e vigorose. Tutto ciò di cui hanno bisogno da parte nostra è che il loro territorio sia protetto, in modo che possano decidere da sole della loro vita.

Oggi la loro terra è realmente a rischio e se l’invasione dei disboscatori non verrà fermata rapidamente, gli strapperemo il futuro dalle mani. Non è una possibilità: è storia inconfutabile, già scritta e riscritta negli ultimi cinque secoli sulla tomba di un numero incalcolabile di tribù.”



Per concessione di Survival International

lunedì 22 novembre 2010

Juan Villoro parla di Roberto Bolaño

venerdì 19 novembre 2010

Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale

Chiara Tinnirello - Università degli Studi di Catania

Il teatro del concetto
di Chiara Tinnirello
Collana: Milleporte
Pagine: 108
Anno: 2009
Prezzo: 12,00 euro
ISBN-13: 978-88-7728-202-6

"Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale" di Chiara Tinnirello.1

È possibile oggi una (ri)lettura di Nietzsche che non sia una mera riproposizione di ermeneutiche già abusate? Forse sì, e forse è quanto tenta in questo pregevole saggio Chiara Tinnirello. La sua esegesi di Apollo e Dioniso come “concetti”, ossia nomi propri che scavalcano la loro stessa simbologia mitica per accasarsi nel calderone delle figure che trascendono il mero simbolismo per “significare” qualcosa, è esplicitamente desunta da Deleuze. La “singolarità preindividuale e impersonale” permette di partire dall’estetica nicciana senza fermarvisi, è la miccia che innesca un intero processo di quello che la Tinnirello definisce “dispositivo figurale” che consente – niente meno – di uniformare concettualmente l’intera opera di Nietzsche, forse la più rapsodica dell’Ottocento. Dioniso, dunque, come Apollo, è una divinità, ma è anche una figura, ma è anche una metafora, ma è anche e soprattutto un concetto. Solo con questa consapevolezza si può veramente comprendere il nesso che lega tutta l’opera di Nietzsche.

Introduzione

Chiara Tinnirello2

Il filosofo francese Gilles Deleuze ha parlato di Singolarità preindividuali e impersonali. Il pensatore, restando negli argini dell’idea di Singolarità, ha definito nomi propri le concrezioni filosofiche, apparentemente biografiche, di Nietzsche. Il nome proprio, inteso da Deleuze, sarebbe lo stile stesso di Nietzsche che dispone intensità, anziché astrazioni, sul nastro del pensiero che è come un registro, un supporto-corpo su cui iscrivere la propria singolarità messa in mostra, operata dallo stile. Muovendo dall’idea di Deleuze, l’intera filosofia di Nietzsche appare sotto una nuova luce, eccezionalmente univoca. La Nascita della Tragedia esibisce i nomi propri di Apollo e Dioniso; questi generano uno stile singolare, sono dispositivi di pensiero. L’apparato mitico della Geburt si avvale del concerto di questi nomi propri. Con tutto ciò, Apollo e Dioniso, sono due divinità pagane. Il politeismo, per natura molteplice, monta in figure i suoi pensieri, ogni concetto ha il suo Dio: gli Dei sono concetti. Allora Apollo e Dioniso cosa sono?

Le divinità della tragedia sono costellazioni di una nuova genealogia dei concetti. Genealogico intende essere un pensiero che arriva alla sua origine per negarla, smascherando il suo autore, il Chi sta all’origine. Apollo e Dioniso potrebbero essere i dispositivi genealogici dello stile-pensiero di Nietzsche; questo, come si è detto, affida a nomi propri, a figure, l’esecuzione del pensiero. Tale pensiero montato in figure diviene una costruzione artista. La filosofia tragica, inscenata da Apollo e Dioniso, sosta nel dramma, movimentando il concetto attraverso esposizioni Singolari, Tipiche.

Zarathustra è una figura, il portavoce dell’avvento del Superuomo (figura anch’esso). Se il pensiero nicciano si avvale di singolarità stilistiche (persino l’aforisma fende il concetto in disposizioni tipizzate, univoche) allora Nietzsche ha ideato una nuova genealogia post/pre antropologica della filosofia: il pensiero delle singolarità diviene l’avvento di una soggettività de-soggettivata, spodestata della sua individualità e messa in grado di diventare evento, fenomeno. La partitura mitica del pensiero di Nietzsche attesterebbe questo sfondamento nel

tragico, il ritorno della tragedia. Il Tragico, in qualità di ‘dramma’, attorializzato da Apollo, Dioniso, Zarathustra sfoggia la Ripetizione delle Singolarità, il ritorno degli Dei. Le molteplicità divine sono i concetti del pensiero di Nietzsche, per il loro tramite la filosofia perde il suo statuto monologico (monoteistico e soggettivistico) ‘classico’ e inaugura un creazione politeista dei concetti.

La genesi ontologica del dispositivo figurale nicciano è la Potenza. Il vocabolario filosofico ci consegna un impensato, il concetto di Potenza che Nietzsche ha attivato come Volontà-di-potenza. La Potenza ha una lunga storia. Si origina nella Metafisica di Aristotele, passa alla teologia cristiana, ritorna in Spinoza, termina nel pensiero di Nietzsche, suggerendo una genesi, alternativa al potere, del soggetto e del suo pro-getto di mondo. La Potenza rimanda al vocabolario dell’Essere, suggerisce la manenza irrelata, eppure mobile, dell’Essere che sgrana se stesso, esteriorizzando la sua energheìa senza alcuna conformità con il piano di forze antitetiche che il potere, con il suo gioco di alterità/ identità, deve istruire per esistere: la Potenza è diversa dal Potere, invoca l’arte. L’opera d’arte sussiste in se stessa eppure gode di uno sguardo esterno, è pura esteriorità e produzione; la Potenza è lo stesso, si produce fuori, si potenzia (L’anima è la forma del corpo, dichiara Aristotele). La figura allora che pone in mostra il concetto, lo espone fuori, è figlia della Potenza, è Arte.

La Volontà-di-potenza nicciana è un paradosso del pensiero. Una volontà che vuole la Potenza è impensabile, il volere comunica un potere, una possibilità. Viceversa la Potenza non può volere, è già. Volontà-di-potenza potrebbe allora esibire il paradosso del Volere che si rimette alla Potenza, il gioco pericoloso di una Volontà che si restituisce alla necessità: scatta il mito dell’eterno ritorno. Riappare solo l’effetto della Potenza, il movimento che è pura esposizione esteriore, necessità di produzione, arte, Figura.

Le ‘figure del pensiero’, infine, sussistendo senza Volontà, prospettano il nuovo stile del mondo inaugurato dalla Tecnica, deriva della storia, e dei soggetti che l’hanno ideata. La Tecnica avvia la modernità attraverso lo spaesamento ontologico delle sue invenzioni, dei mostri robotici, delle protesi, delle possibilità im-possibili dell’ingegneria genetica. I Soggetti perdono la loro capacità di azione, non possono più concepirsi secondo i dettami della logica ‘classica’, per questa ragione tornano a farsi stadi, segmenti della necessità che non si piega

ad alcuna legge, diventano tragici.

Il Ritorno della tragedia avvia la modernità che non si lascia conoscere, che rifugge la logica progettuale del soggetto padronale e si schiude alle polivalenze del mito e delle sue divinità amorali: ritornano gli Dei, le molteplicità anomiche dell’ignoto, lo spossessamento dell’attore tragico che si trova a fare senza sapere, immerso nel monstruum del reale.

Apollo, Dioniso e Zarathustra, così come L’Anarca di Ernst Jünger e Diogene il Kinico di Peter Sloterdijk, sono stili del dramma del pensiero, figure dell’altra faccia del reale, l’arte, l’artificio. Con il tramite di queste figure, il pensiero ri-pensa il mondo, configurando un’altra pista dei concetti per la fine dei soggetti, la via della potenza, delle Singolarità.


1 Prefazione A. Ferrero, postfazione D. Miccione, Nota in Poesia di P. Ristagno, copertina G. Caviezel, A e B, Acireale Roma 2009, Collana Milleporte (direttore A. Di Giovanni).

2 Chiara Tinnirello, Università degli Studi di Catania

martedì 16 novembre 2010

Jean-Luc Nancy e le arti plurali; Il nesso tra ontologia e estetica


Dra. Chiara Tinnirello - Accademia Di Belle Arti Val di Noto









http://www.observacionesfilosoficas.net/jeanlucnancy.htm

Resumen
Il nesso tra ontologia e estetica nel pensiero di Jean Luc Nancy
Il pensiero di Nancy è rimasto fedele al tracciato ontologico della filosofia. Ma Nancy, filosofo contemporaneo e autore di una monumentale Decostruzione del cristianesimo, considera l’Essere quale disposizione reticolare della pluralità dei corpi, come ente tra gli enti. Il primato metafisico dell’Essere sull’ente è definitivamente congedato dall’Essere Singolare Plurale. Tale primato era stato nondimeno ostinatamente sfidato, ab origine, dall’arte. L’artista infatti, a dispetto di ogni precetto ontologico, escogita entità che non onorano l’egemonia dell’Essere, bensì si sostituiscono a Lui, creando ex novo cose tecniche, artifici. Le Opere d’arte, così come le invenzioni della Tecnica, non si risolvono secondo i dettami dell’ontologia classica (si pensi alla destituzione platonica delle arti a mere copie delle idee), piuttosto inaugurano un processo ininterrotto di creazione che smentisce il Creatore e qualsivoglia Principio di produzione unico e irripetibile. L’estetica allora, pensata come disciplina che insiste sul binomio inscindibile arte/tecnica, diventa il medium indispensabile alla filosofia per comprendere la molteplicità del reale (addirittura, la sua principale espressione post-teologica). L’ontoestetica di Nancy inaugura un pensiero interamente umano delle technai.

Abstract
The relationship between aesthetic and ontology in the Jean Luc Nancy’s thought
The Nancy’s thought is yet again adherent to the ontological discourse of philosophy. Nonetheless Nancy, as contemporary philosopher and author of a monumental Deconstruction of Christianity, considers the Being as a reticular disposition of the plurality of bodies, as like as an entity between entities. The metaphysical primacy of the Being in respect to the entity is completely overcome from the Being Singular Plural. This primacy was nevertheless obstinately challenged, ab origine, from the Art. The artist however, against every ontological instruction invents some entities which don’t respect the hegemony of the Being, instead they substitute Him, creating ex novo some technical things, some artifices. The artworks, as the technical inventions, don’t resolve themselves in the rules of the classical ontology (we are thinking to the platonic destitution of arts, as mere copies of the ideas), on the contrary, they start a never-ending process of creation that denies the Creator and, at the same time, every principle of an unique and one-shot making. Consequently aesthetics, as the subject that insists on the binomial art/technology, becomes the necessary medium of philosophy in order to understand the multiplicity of the real world (maybe, the most important expression of a post-theological thought). The Nancy’s Ontoaesthetics prepares a completely human plan of the technai.

Palabras clave
Nancy, Deleuze, estetica, ontologia, singolarità, pluralità, soggettività, persona, corpo, immagine, sensibilità, arte, Muse, esibizione, creazione, tecnica.

Keywords
Nancy, Deleuze, aesthetics, ontology, singularity, plurality, subjectivity, person, body, imagine, sensibility, art, Muses, exhibition, creation, technology.


1. Ontologia sensibile. Il Singolare allora plurale


Le arti sono più antiche della religione: forse è una tesi indimostrabile, ma ha una rigorosa evidenza.
(Jean Luc Nancy, Le Muse)
Jean-Luc Nancy
(Parigi - marzo 2010)


Il filosofo francese Jean Luc Nancy possiede il merito indiscusso di avere innestato il medium della relazione nel corpo della filosofia. Nancy è stato capace di inventare un’ontologia plurale che non invoca la pista etica della cognizione dell’altro, già battuta da innumerevoli filosofi contemporanei, bensì insiste in un contesto eminentemente ontologico entro il quale l’Essere coincide all’origine con la pluralità degli enti; esso è l’entità sensibile della polivocità della cosa corporea.

Per fare ciò il pensiero di Nancy riprende la prospettiva Singolare dell’individualità inaugurata da Nietzsche e da Deleuze, ma complica la rete dei soggetti coinvolgendo, ab initio, gli intrecci dell’essere gli uni-con-gli-altri nell’innesto ontologico tra l’Individuum/sum e la molteplicità originaria del con-essere: l’individuo spartisce la propria estensione con altri, è coinvolto per essenza nel viluppo della relazionalità.

Verosimilmente, Nancy ha inteso raggiungere una nuova estensione della filosofia muovendo dal tentativo già percorso (da Nietzsche e Heidegger su tutti) di superare l’ontologia classica. Nancy nondimeno delinea una nuova dimensione dell’Essere afferrato in relazione ai sensi come singolarità comune e concreta, plurale e individuata. In tal modo la disposizione filosofica dell’Essere Singolare Plurale1 coincide con la concrezione apriori della socialità pre-politica dell’Essere-Con2.

All'opposto, la manenza irrelata dell’Essere inteso al singolare simulato della metafisica classica, produceva (si pensi alla filosofia Prima aristotelica) una dynamis interna all’ente individuato intrisa di unicità. L’ente svincolato dalla relazionalità sussisteva in un tempo solitario, in uno spazio chiuso, astratto e trascendente rispetto alla varietà della vita. Da Aristotele a Spinoza, fino a Heidegger, il percorso dell’ontologia sostava nel rapporto differenziale, perciò non paritetico, tra essere e ente senza mai accendere la miccia dell’immanenza relazionale entro le maglie dell’Essere stesso: questo possedeva tante facce, ma era uno: principium individuationis. Per valicare l’ontologia classica Nancy considera innanzitutto indispensabile congedare il concetto di individualità della singolarità, ossia l’idea di un individuo unico e irripetibile, indiviso perciò sciolto da ogni legame effettivo con l’altro. Tale modello di individualità propone post hoc, quale suppletivo del soggetto unico, il concetto astratto di comunità. La collettività comunitaria risolve a tutt’oggi il legame di interconnessione tra i soggetti senza spiegare l’essenza stessa della relazione pluralistica dell’essere al mondo3. Ma Nancy oltrepassa la scissione primaria tra individualità e relazionalità, così come si predispone nella communitas intersoggettiva, percorrendo la via della simultaneità ontologica tra gli Esseri. L’incontro primario tra gli enti sensibili, singolari eppure plurali, marca la soglia di questo passaggio trasfuso dall’ontologia astratta comunitaria all’Essere Singolare. Nancy pensa l’essere come sensibilità, in maniera del tutto analoga alle forme naturali che sussistono tutte nello stesso tempo senza cadere nel laccio dell’astrazione logica4. La connessione reticolare tra l’Essere e le sue molte voci5 è tuttavia possibile dacché lo spazio ontologico, costituito dal corpo sensibile, succede al tempo astratto della riflessione (della quale il “senso comune” è la ratio emblematica), così come la singolarità-concetto all’idea.

Un discorso sull’essere come Nancy lo ha generato deve allora collocare l’Origine dell’ontologia plurale nell’estensione (invece che nel tempo) e considerare la spazi-azione originaria degli enti. In essa ciò che sussiste è già espressione del coinvolgimento che distacca l’Essere dal suo ambiente e, unitamente, un’emersione paradossale di Singolarità estratta da un fondo comune6.

L’Essere nella sua tangibilità produce da sé la coesistenza tra le sue pluralità. Tale molteplicità corporea possiede un’effettività che enuncia la sua immane ambiguità. La forma sensibile è infatti esposta e correlata a un tutto che consta, senza sosta, di innumerevoli parti: l’Essere rifugge la totalità compatta dell’unicità e si accasa nella forma positiva della sua presentazione. In tal modo l’essere rassomiglia, anzi coincide con l’immagine, pura esibizione artistica di forme che non si dissolve mai in un rappresentazione generale. L’ontologia di Nancy incontrando l’immagine si fa estetica, arte di posizione e insieme postazione unica per l’essere, coinvolto nella pluralità delle sue parti.

Il fenomeno di presentazione dell’Essere coinvolge al contempo lo stile del pensatore. Il concetto implica la pagina, le parole si danno richiami tra loro, evocandosi a vicenda. La scrittura rifà i suoi concetti avviandoli alla presentazione di se stessi. L’estensione della Singolarità sulla scrittura schiude l’involucro dell’individualità soggettiva inaugurando la via della Singolarità plurale. Essa scaturisce da un Essere che è già, in sé, relazione con le sue innumerevoli parti, polivocità, cozzo correlativo di forze.

Il passo leggero del concetto in mostra, inaugurato dal toucher7 della filosofia, apre il pensiero alle plaghe morbide dei sensi, delle sinestesie, del tocco reciproco tra le immagini. Queste rimangono singole concrezioni che si collocano nella trama della scrittura senza concedere nessuno spazio al dispiegamento analitico dei concetti.

L’ontologia estetica di Nancy appare come l’arte di posare il concetto sulla tela della pagina8. Il linguaggio astratto della filosofia afferra la traccia plurale delle parole per una produzione artistica del senso. I sensi invocano i segni: ecco la pluralità delle arti.
2. La pista delle singolarità. Soggetti e Opere d’arte

Il pensatore che prima di Nancy ha avviato la pista delle singolarità, fabbricando uno stile filosofico plurimo e complesso, è stato senz’altro Gilles Deleuze, padre delle Anarchie incoronate e delle Singolarità preindividuali e impersonali.9

Nancy edificando la sua ontologia sensibile ha certamente afferrato il senso delle Singolarità preindividuali e impersonali di Deleuze. Le differenze tra i due pensatori in merito al concetto di Singolarità restano tuttavia cospicue. Deleuze, sulla scorta di Nietzsche e della sua visione Prospettica del soggetto, ha tentato di destituire la soggettività e spodestare dal trono della filosofia l’Essere stesso. Nancy viceversa, attraverso il concetto di singolarità plurale, ha inteso rimettere in movimento la portata eccentrica dell’individualità, tentando di fare parlare l’Essere al plurale. Il soggetto si mette a enunciare le molte voci dell’Essere che è.

Nancy, ancora, muovendo oltre Heidegger e la sua Storia dell’Essere intende subordinare l’Origine ontologica alla forza viva della pluralità desiderando che la natura polivoca dell’ontologia sia ammessa al pensiero anteriormente a ogni progetto filosofico anche solo nominalmente pluralista. Con una boutade: per Nancy, come pure per Aristotele e Heidegger, viene prima l’ontologia poi la filosofia. La prima deve essere capace di fondare una pista etica, estetica e politica. Senza il ripasso ontologico al crivello stereoscopico della molteplicità sensibile l’Essere Singolare Plurale non esisterebbe. Eppure la disamina ontologica di Nancy trova ricetto presso l’estetica come in nessun’altra regione della filosofia. L’Essere Singolare Plurale che ha trasposto l’ontologia fuori nella coimplicazione originaria che rimette l’Essere alla sua pluralità, abita le Immagini. Queste sono produzioni ed esteriorizzazioni della cosa, esposta nella sua pura esibizione, per questa ragione, incapace di uscire del tutto dalla propria cornice materiale e figurata10.

L’immagine sosta nella sua esteriorità, appare. L’arte in qualità di forma conchiusa è capace di comporsi nello spazio emblematico della forza correlativa tra figura e fondo della tela, tra apparizione e auto-espressione; alla stessa maniera si effettua anche l’Essere Singolare Plurale che compare solo co-apparendo agli altri e a se stesso. La manifestazione dell’Essere Singolare plurale copia l’immagine:

La comparizione come concetto dell’essere-insieme consiste nell’apparirsi: cioè nell’apparire in un sol tempo a sé e agli altri. Si appare a sé solo apparendo gli uni agli altri […], dovremo dire che si appare a sé nella misura in cui si è già un altro per sé11.

Prima della dislocazione esposta della faccia l’Essere non sarebbe visibile. L’Essere Singolare insiste, ab initio, sul suo essere visto persino da se stesso. Tale mostrarsi a sé che si esibisce è peculiare delle arti. L’opera d’arte esiste nella sua esposizione e si dona allo sguardo dello spettatore. La trasfusione del “senso dell’Essere” nell’arte, che consiste di innumerevoli spiazzamenti e spazi-azioni del significato, prelude all’incanto ontologico dell’Essere Singolare Plurale. Questo è intimo e esposto nello stesso tempo, esibito e racchiuso nella sua forma, nella sua finitezza, nondimeno aperto alla pluralità dei segni e degli sguardi, delle prospettive di sfondamento della rete corporea dell’Opera. Giacché è peculiare delle arti il fatto di rimandare oltre se stesse, al loro concetto singolo, l’Arte, ma al contempo la loro capacità di restare fisse nel raccoglimento in un oggetto, in un’unica immagine in opera. Tale mostra in una forma concreta accende la spirale dell’interpretazione senza, tuttavia, sospendere l’interezza della forma. L’opera d’arte si correla alle sue possibili impressioni sugli occhi dello spettatore sussistendo, malgrado ciò, nella sua forma originaria.

Ancora. L’atto interpretativo avviato dallo spettatore dinanzi all’opera d’arte indecidibile, esposta allo sguardo, attesta la manenza della configurazione inafferrabile che rimanda a un interiorità irreperibile, cava nel suo splendido annuncio di sé.

Plausibilmente l’ermeneutica dell’oggetto d’arte cozza con la resistenza dell’immagine che rilutta a ogni spiegazione rimettendosi sempre alla sua solida ambiguità: non esiste alcuna interpretazione se prima non urta l’opera, poiché da questa si stacca l’ombra del senso invasiva e avversa a qualsivoglia opinione individua. Piuttosto, il meccanismo interpretativo suscitato dall’esposizione fa affondare l’interprete nella visione dell’immagine obbligandolo a restare implicato nella singolarità dell’opera d’arte. Lo spettatore osservando l’immagine si ibrida con Lei restando implicato in un concerto di molteplici percezioni, in un fascio di figurazioni che non appartengono né a lui né all’oggetto, sono invece le rivelazioni simultanee delle trame del con-essere.

Per Nancy l’estetica, intesa come milieu del legame mimetico tra arte e filosofia, è pertanto il dispositivo di creazione di spazi corporei alle immagini, è la disciplina ontologica par excellence poiché concede la possibilità che ogni singola opera emerga in uno spazio di dis-locazione originario che la co-involge in una pluralità coessenziale alla sua nascita. Specularmente lo stesso fenomeno di spiazzamento e di dislocazione accade in chi guarda, avviando lo spettatore verso un’obiettivazione dell’occhio che affonda nell’intimità della visione e vi si perde12.

L’ontologia, laddove incontra l’estetica, è in grado di movimentare l’Essere per le sue produzioni nella creazione continua di apparenze.

L’ontologia plurale in divenire concerne, dunque, il binomio inscindibile arte/tecnica, implicando il concetto di invenzione dei soggetti come delle opere:

[…] “creazione” deve allora svelarsi come tecnica del mondo. Ma “tecnica del mondo” può essere solo intesa al plurale delle tecniche che non hanno né un momento originario di un fiat né quello finale di un senso. Non appena si disfa come concetto sui generis (dunque come concetto autodistruttore) la “creazione” apre sul singolare plurale dell’arte. Ovvero, l’«arte» è il nome, forse ancora provvisorio, del suo singolare plurale.13

Nel pensiero di Nancy il primato della creazione artistica possiede un carattere intrinsecamente connesso alla manenza dell’oggetto d’arte: non è solo l’artista a creare l’opera d’arte e a statuirne il senso, bensì l’oggetto stesso, capace di esibire in completa autonomia una potenza capace di innescare l’interpretazione plurale degli spettatori. È l’ermeneutica dell’opera d’arte, così come essa è percepita dallo spettatore che vi si espone, a produrre l’ontologia dell’Essere Singolare Plurale. Giacché l’essenza dell’arte è resistenza all’interpretazione che accende l’interpretazione, così come l’Essere Singolare Plurale è rete di senso che coinvolge la totalità delle singolarità senza perdere in individualità. Non v’è patrimonio soggettivo nell’arte. L’arte stessa è Soggetto (che muta il concetto di individuo, che inventa una nuova ontologia).

La pista dell’estetica è dunque la via regia per la nascita di una nuova soggettività pensata come Singolarità esposta, opera d’arte:

Nell’immagine o come immagine, e soltanto così, la cosa – sia essa una cosa inerte o una persona – è posta in soggetto: essa si presenta14.

È evidente allora che tra arte e soggetto non sussiste un legame meramente causale, come tra creatore e creatura. Arte e singolo sono invece presentazioni in Soggettiva dell’arte, immagini eidetiche del tracciato singolare dell’ontologia plurale.

Nancy monta ontologia e estetica realizzando un’ontoestetologia. Questa include entro le maglie dell’Essere oggetti che non sono enti, cose che non sono eterne, pensieri che non sono trascendenti, soggetti che non sono autocoscienti: l’ontologia plurale come estetica delle cose tecniche e delle produzioni è la traccia di una nuova storia dell’Essere, plurima, polivoca, mostrologica15.

D’altra parte la sfida dell’arte, il monstruum che fa da monito, concerne la natura puramente creatrice (senza creatori) dell’immagine che spazia/spiazza ininterrottamente il senso in immagini. Il divino insistendo sull’immagine, senza rimandare più ad una teologia della forma, inaugura il culto dei travestimenti e delle copie, il rito complesso della religione delle parti, delle Singolarità-in-Opera. L’arte dell’Essere ossia l’ontologia estetica, escogita una sinfonia plurale delle invenzioni autopoietiche. Gli artifici sono effetti della gerarchia orizzontale delle forme senza contenuto, delle apparenze senza intimità, rassegne e effigi delle Singolarità.

La tecnica dell’arte non conosce arresto, reclama, perciò stesso, un’ontologia singolare-plurale, capace di dire i diversi che ripetono il senso16. L’Essere dell’ontologia classica divenendo intrinsecamente plurimo si movimenta in un processo ininterrotto di creazione di ontologia: l’Essere Singolare Plurale istruisce un pensiero del novum capace di superare la fissità logica dell’Essere astratto dal mondo.
3. Conclusione. Le Muse e le Arti

Le Muse sono tante; tutte insieme non rappresentano un concetto predicativo di arte, bensì l’intrinseca postazione figurale, antecedente a ogni astrazione logica, del complesso politeista delle parti. L’arte è più antica della filosofia e della religione, ciò in ragione di un’evidenza pre-razionale che antepone l’immagine a qualsivoglia struttura speculativa17.

Il Paganesimo antico produceva da se stesso un’epifania molteplice di forme, coesistenti eppure diverse, correlate ma singole: gli dei, gli eroi e le Muse sono sempre in tanti. Le arti per i Greci erano numerose, nell’ipotesi minima nella quantità dei sensi dalle quali si originavano. Le Muse erano, e restano, i corpi sensibili di questa varietà politeista dell’immagine. Nancy ha consacrato a queste deità un volume sul nesso tra arte e pluralità18 immaginando la molteplicità originaria di queste figure di presentazione dell’arte come acclimatazioni del Singolare Plurale dell’Essere. L’arte dunque dai primi vagiti della civilizzazione europea è stata lo spazio emblematico del Singolare Plurale, il regno del senso che impatta i sensi (sempre plurali).

La pluralità delle Muse invalida, molto prima che la filosofia lo intenda, lo statuto unitario dell’Essere (e dell’Opera d’arte):

Ci sono le Muse, non la Musa. Il loro numero è stato variabile, come i loro attributi, ma le Muse sono sempre state più d’una. È questa origine multipla che deve interessarci, ed è anche la ragione per la quale le Muse, come tali, non sono il nostro argomento: prestano solo il loro nome, questo nome improvvisamente moltiplicato, così da dare un titolo alla domanda: perché ci sono più arti e non una sola?19.

Le arti sono plurali, sono nel numero innumerabile delle singole opere d’arte. Le Muse appaiono pertanto chances per affermare la potenza reticolare del mondo e modi di dire l’accesso intimo alla pluralità dell’origine che distingue, spezzando l’astrazione logica in innumerevoli punti dotati di carica eccentrica, le Personae. Le Muse concedono alle cose di farsi immagini, ai soggetti di divenire Singuli, all’Essere di delinearsi dall’essere-con. Tali Figure divine possiedono lo statuto di facce ontologiche del Soggetto, immagini. La sussistenza dell’arte nella complessità dei suoi Volti invita L’Io dell’artista e il Cogito dello spettatore a perdere la propria individualità per accasarsi nella casa musica20.

Le Opere d’arte infatti sostano nel perimetro dell’idea di arte esclusivamente per muovere in punti di condensazione, le Personae, la potenza invasiva dell’immagine.

Ci sono sempre più arti, giacché l’astratto dell’idea abbandona la filosofia alle sue produzioni: l’arte è plurale perché non esiste che nelle opere d’arte.

Il discorso estetico di Nancy coinvolge la complessità della filosofia che si fa immagine rinunciando all’astrazione logica del concetto (analitica) e dell’idea (spirituale).

Da questo momento la filosofia si fa arte del pensiero, i soggetti operatori dell’arte. Nuove piste si schiudono e le porte sono senza accesso, aprono su un intimo esposto, su concetti che non sono idee, bensì singolarità parlanti, nomi propri21. L’enunciare che coinvolge l’Essere in un corpo sensibile sussiste nella sua presentazione attoriale senza precipitare nella rappresentazione che pone innanzi l’Essere come un semplice objectum sul quale avviare un’indagine strumentale22. L’arte e i suoi dispositivi di presentazione dispongono la fine dell’ontologia classica costruita sul dissenso, ora sanato, tra Soggetti e oggetti, Essere e cose.

Un Essere volto è l’Essere Singolare Plurale che come l’antica maschera della tragedia greca si risolve nella sua apparenza, gioca la sua mostra, è già ciò che sarà: opera d’arte che genera se stessa23.


Dott.ssa Chiara Tinnirello
Prof.ssa di Estetica, Accademia Di Belle Arti Val di Noto, Noto (SR). Laureata presso l’Università degli studi di Catania.
Chiara Tinnirello è nata nel 1981. Si è laureata in Filosofia e specializzata in Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Catania. Ha elaborato due lavori di tesi sul pensiero di Ernst Jünger. Attualmente insegna Estetica presso l’Accademia Di Belle Arti “Val Di Noto”, Noto (SR).
Si occupa di Estetica, Filosofia teoretica e Filosofia contemporanea, studiando le disposizioni figurali nel pensiero di autori come Nietzsche, Jünger, Deleuze, Sloterdijk. Si interessa dei legami mimetici tra arte e filosofia.
Pubblicazioni: Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale, A & B, Acireale-Roma 2009.

BIBIOGRAFIA ESSENZIALE

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Nancy, Jean, Luc, Essere singolare plurale, intr. R. Esposito, tr. it. D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2001.
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Nancy, Jean, Luc, La comunità inoperosa, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2003.
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Nancy, Jean, Luc, Corpus, tr. it. (a cura di) A. Moscati, Cronopio, Napoli 2004.
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Nancy, Jean, Luc, Noli me tangere. Saggio sul levarsi del corpo, tr. it. F. Brioschi, Boringhieri, Torino 2005.
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Nancy, Jean, Luc, Le Muse, tr. it. C. Tartarini, Diabasis, Reggio Emilia 2006.
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Nancy, Jean, Luc, Tre saggi sull’immagine, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2007.
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Nancy, Jean, Luc, La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo I, tr. it A. Moscati e R. Deval, Cronopio, Napoli 2007.
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Nancy, Jean, Luc, La nascita dei seni, tr. it. G. Berto, Cortina, Milano 2007.

Letteratura secondaria

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Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, ed. testo a fronte, Bompiani, Milano 2000.
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Deleuze, Gilles, Nietzsche e la filosofia e altri testi, tr. it. F. Polidori, tr. it. dell’appendice, Pensiero Nomade, di D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2002.
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Deleuze, Gilles, Logica del senso, tr. it. M. De Stefanis, Feltrinelli, Milano 2005.
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Deleuze, Gilles, Differenza e Ripetizione, tr. it. G. Guglielmi, Cortina, Milano 2005.
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Derrida, Jacques, Toccare, Jean-Luc Nancy, tr. it. di A. Calzolari, Marietti, Genova 2007.
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Foucault, Michel, Che cos’è un autore in, Scritti letterari, tr. it. C. Milanese, Feltrinelli, Milano 2004 (pp. 1-21).
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Heidegger, Martin, Sentieri interrotti, tr. it. P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968.
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Heidegger, Martin, Saggi e discorsi, tr. it. e intr. G. Vattimo, Mursia, Milano 1991.
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Nietzsche, Friedrich, La Nascita della tragedia dallo spirito della musica, volume III tomo I (a cura di) G. Colli e M. Montinari, tr. it. S. Giammetta, Adelphi, Milano 1982.
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Sgalambro, Manlio, Del pensare breve, Adelphi, Milano 1991.
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Sloterdijk, Peter, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, tr. it. A. Calligaris e S. Crosara, Bompiani, Milano 2004.
*

Tinnirello, Chiara, Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale, A&B, Acireale-Roma 2009.


Fecha de recepción: 10 de marzo de 2009

Fecha de aceptación: 14 de abril de 2009

1 Nancy, J.L., Essere Singolare Plurale, intr. R. Esposito, tr. it. D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2001.
2 «Essere Singolare plurale: tutto di fila senza interpunzione, segni d’equivalenza, d’implicazione o di consecuzione. Un solo tratto continuo-discontinuo, che traccia l’insieme del dominio ontologico, l’essere-con-se-stesso designato come il “con” dell’essere, del singolare e del plurale, e che impone di colpo all’ontologia non soltanto un altro significato, ma un’altra sintassi. Il “senso dell’essere” non soltanto come “senso del con”, ma anche, e soprattutto, come il “con” del senso». (Ivi., p. 53).
3 Sul concetto di comunità quale milieu astratto e conflittuale della connessione intersoggettiva (e non Singolare) cfr. Nancy, J.L., La comunità inoperosa, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2003.
4 Per Deleuze (il cui pensiero è prossimo al concetto di “Singolare plurale” proposto da Nancy) l’essere sensibile e la natura sono così correlati: «Phisis non è una determinazione dell’Uno, dell’Essere o del Tutto. La Natura non è collettiva bensì distributiva: le leggi della natura […] distribuiscono parti che si totalizzano. La Natura non è attributiva bensì congiuntiva: si esprime nell’ “e” e non nell’ “è”. Questo e quello, alternanze e intrecci, somiglianze e differenze, attrazioni e distrazioni, sfumature e rudezze. La Natura è il mantello di arlecchino, fatto tutto di pieni e vuoti; pieni e vuoti, essere e non essere, ove ciascuna delle due cose si pone come illimitata limitando l’altra […] la Natura è precisamente la potenza, ma potenza in nome della quale le cose esistono una ad una, senza possibilità di radunarsi tutte nello stesso tempo […]». (Deleuze, G., Logica del senso, tr. it. M. De Stefanis, Feltrinelli, Milano 2005, p. 235).
5 Aristole nella Metafisica dice esattamente che L’essere si dice in molti modi. (Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, ed. testo a fronte, Bompiani, Milano 2000).
6 «Presentandosi, la cosa viene ad assomigliarsi, dunque a essere se stessa. Per assomigliarsi, essa si assembra, si raccoglie. Ma per raccogliersi, essa deve ritirarsi dal suo fuori. L’essere si strappa all’essere, e l’immagine è ciò che si strappa. Porta in sé il segno di questo strappo: il suo fondo mostruosamente aperto sul suo fondo, cioè sul rovescio senza fondo della sua presentazione (il retro cieco del quadro)». (Nancy, J.L., Tre saggi sull’immagine, tr. it. A. Moscati, Cronopio, Napoli 2007, p. 24). Il volume in edizione italiana collaziona tre saggi di Nancy: Image et violence, L’image, le distinct, La représentation interdite (Éditions Galilée, France).
7 La definizione di Nancy quale toucher della filosofia viene da Derrida. (Derrida J., Toccare, Jean-Luc Nancy, tr. it. di A. Calzolari, Marietti, Genova 2007).
8 Si pensi al filosofo Manlio Sgalambro, cultore dell’Opera filosofica. Per Sgalambro la filosofia sosta sulla pagina e vi permane intatta: «[…] in realtà ogni filosofia non esiste in altro luogo che nel suo spazio. Se ci si chiede, dunque, dove esiste una filosofia bisognerà infine rispondere disperati: sulla carta come un quadro sulla tela» (Sgalambro, M., Del pensare breve, Adelphi, Milano 1991).
9 Le Singolarità preindividuali e impersonali costellano l’intera opera di Deleuze. Rimandiamo, per la sua completezza, al volume: Deleuze, G., Logica del senso, cit., in particolare, Sulle Singolarità (pp. 94-101).
10 «L’immagine è separata in due maniere contemporaneamente. È staccata da un fondo ed è ritagliata in un fondo. È scollata e delimitata. Lo scollamento la toglie e la porta in avanti: ne fa un “davanti”, una faccia […]». (Nancy, J.L., Tre saggi sull’immagine, cit., p. 40).
11 Nancy, J.L., Essere Singolare Plurale, cit., p. 93.
12 «Un sentire s’intensifica, s’ipertrofizza, o si demoltiplica, assume valore per sé (vale a dire, esattamente, che il mio “sé” vi si perde). È qui che le arti sono possibili». (Nancy, J.L., Le Muse, tr. it. C. Tartarini, Diabasis, Reggio Emilia 2006, p. 146).
13 Nancy, J.L., ivi., p. 51.
14 Nancy, J.L., Tre saggi sull’immagine, cit., p. 19.
15 «L’immagine è dell’ordine del mostro: monstruum è un segno prodigioso che avvisa (moneo, monestrum) di una minaccia divina». (Ivi., pp.19-20).
16 A tale proposito pensiamo all’Ontologia polivalente auspicata da Peter Sloterdijk. Questi inaugura una filosofia dell’artificio capace di assolvere il compito de-polemizzante di dare accesso alle technai nel pensiero. Come Nancy, Sloterdijk rifugge il paradigma monologico dell’ontologia classica rimettendo il pensiero alle sue produzioni e gli oggetti alla loro nascita naturalmente artificiale. (Sloterdijk, P., Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, tr. it. A. Calligaris e S. Crosara, Bompiani, Milano 2004).
17 Rimandiamo all’epigrafe di apertura del presente lavoro.
18 Nancy, J.L., Le Muse, cit.
19 Ivi., p.19.,corsivo mio.
20 «Io divento blu nel ritratto di Olga, io divento la dissonanza di un accordo, un passo di danza. “Io” non sono più io. Cogito diventa imago». (Nancy, J.L., Tre saggi sull’immagine, cit., p. 44).
21 L’espressione è stata escogitata da Gilles Deleuze per definire le Singolarità preindividuali e impersonali delle quali Nietzsche si fa portavoce montando in figure (Apollo, Dioniso, Zarathustra) il proprio pensiero. Tali figure inaugurano un pensiero artista. Per l’approfondimento sulla presenza delle “figure del pensiero” nella filosofia di Nietzsche, pensate di concerto con il nome proprio deleuziano, mi permetto di rimandare a: Tinnirello, C., Il teatro del concetto. Nietzsche e il dispositivo figurale, A&B, Acireale-Roma 2009.
22 Ci riferiamo al concetto heideggeriano di Vor-stellen quale porre-innanzi l’essere come ente, frutto del “pensiero calcolante”. L’essere come ente, invocato dalla rap-presentazione, (per noi) viene finalmente superato da Nancy. Se, infatti, l’essere coincide con la sua esibizione, se l’essere è opera d’arte, allora, siamo noi a essere guardati dall’opera, a subire la sua esposizione. L’ontologia classica, e la gnoseologia conseguente, dovrà essere rivista alla luce di questo sguardo esposto invocato dall’ontologia plurale delle concrezioni artiste del pensiero.
23 «L’opera d’arte, dove appare senza artista, per esempio come corpo, come organizzazione (corpo degli ufficiali prussiani, ordine dei gesuiti). In che senso l’artista è solo uno stadio preliminare. Il mondo come opera d’arte che genera se stessa». (Nietzsche, F., in Heidegger, M., L’origine dell’opera d’arte in Sentieri interrotti, tr. it. P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 221).